
Dispiace, e tanto, ma dobbiamo
constatare che le grosse ambizioni messe in gioco con questo progetto
si rivelano poca cosa. L’ottimo
L’imbalsamatore aveva fatto sperare parecchio in questa nuova
opera del giovane Garrone. Sulla carta un soggetto ugualmente
inquietante, un rapporto di coppia consumato fino alla tragedia
dall’inappellabile e continua pretesa di lui (Vittorio) di poter
vedere in lei una magrezza sempre più estrema, che isola
inesorabilmente i due dal resto del mondo.
Troppe cose si mettono tra questo spunto e il film. Innanzitutto una
inutile sottotrama “professionale” (il laboratorio di lui che va a
catafascio, le intollerabili intemperanze di lei nel suo negozio) che
contrappunta senza la minima efficacia la discesa agli inferi che si
vorrebbe mostrare. È evidentemente un tentativo di ispessire
personaggi a cui però è quasi impossibile concedere spessore senza che
la nettezza della parabola discendente ne risenta. Altro motivo di
nocivo “ammorbidimento” in questo senso sono elementi troppo
sfacciatamenti chiarificatori come i colloqui col medico e la voce
off di Vittorio che circoscrivono la cosa troppo in direzione di
una patologia individuale (con tanto di ascendenze paterne, per stare
nel sicuro) per coinvolgere davvero. Troppo distacco, non si osa
neppure la “pericolosa” e controversa simpateticità col personaggio
che p. es. salvava Roberto
Succo di Cedric Kahn (altro film non certo privo di difetti).
Banalità esplicative a parte, nemmeno i tentativi di far prendere al
discorso una piega più articolata vanno a segno, come quando si mostra
il sottile disagio della protagonista, che a tempo perso posa nuda per
aspiranti pittori, nell’avvertire la lama mortale del voyeurismo
altrui.
Certo, si è davanti a un prodotto confezionato in maniera
raffinatissima. Scenografie taglienti, fotografia coraggiosa,
recitazione che ondeggia sull’orlo dell’improvvisazione in modo molto
azzeccato (straordinario il protagonista maschile), bei movimenti di
macchina, intuizioni ammirevoli che rimangono effettivamente scolpite
nella memoria (come la bellissima e lunga soggettiva di lui che cerca
lei nascosta dietro un albero). Ma a che pro? Non è tanto questione di
sterile decorazione, il fatto è che Garrone rimane troppo imbrigliato
nella mera descrizione del fenomeno; subordina il suo
ammirevole armamentario tecnico al lato più superficiale della
narrazione, esprimendo la crudeltà della relazione in modo troppo
pacatamente allusivo. È un sussurro proferito da una voce melodiosa,
calda, accattivante, ma sempre un flebile sussurro rimane. Avesse
esasperato la prepotenza della sua robusta grafìa filmica fino a
congelare davvero la narrazione (invece che asservirla pedissequamente
riempiendola di momenti “ad effetto”), avrebbe fatto toccare questo
congelamento con la pulsione evidentemente di morte che anima il
protagonista. E il film avrebbe acquisito un senso ben maggiore.
Voto: 23/30
23.02.2003
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