PRIMO AMORE

di Matteo Garrone

Con: Vitaliano Trevisan, Michela Cescon

di Marco GROSOLI

Dispiace, e tanto, ma dobbiamo constatare che le grosse ambizioni messe in gioco con questo progetto si rivelano poca cosa. L’ottimo L’imbalsamatore aveva fatto sperare parecchio in questa nuova opera del giovane Garrone. Sulla carta un soggetto ugualmente inquietante, un rapporto di coppia consumato fino alla tragedia dall’inappellabile e continua pretesa di lui (Vittorio) di poter vedere in lei una magrezza sempre più estrema, che isola inesorabilmente i due dal resto del mondo.
Troppe cose si mettono tra questo spunto e il film. Innanzitutto una inutile sottotrama “professionale” (il laboratorio di lui che va a catafascio, le intollerabili intemperanze di lei nel suo negozio) che contrappunta senza la minima efficacia la discesa agli inferi che si vorrebbe mostrare. È evidentemente un tentativo di ispessire personaggi a cui però è quasi impossibile concedere spessore senza che la nettezza della parabola discendente ne risenta. Altro motivo di nocivo “ammorbidimento” in questo senso sono elementi troppo sfacciatamenti chiarificatori come i colloqui col medico e la voce off di Vittorio che circoscrivono la cosa troppo in direzione di una patologia individuale (con tanto di ascendenze paterne, per stare nel sicuro) per coinvolgere davvero. Troppo distacco, non si osa neppure la “pericolosa” e controversa simpateticità col personaggio che p. es. salvava Roberto Succo di Cedric Kahn (altro film non certo privo di difetti). Banalità esplicative a parte, nemmeno i tentativi di far prendere al discorso una piega più articolata vanno a segno, come quando si mostra il sottile disagio della protagonista, che a tempo perso posa nuda per aspiranti pittori, nell’avvertire la lama mortale del voyeurismo altrui.
Certo, si è davanti a un prodotto confezionato in maniera raffinatissima. Scenografie taglienti, fotografia coraggiosa, recitazione che ondeggia sull’orlo dell’improvvisazione in modo molto azzeccato (straordinario il protagonista maschile), bei movimenti di macchina, intuizioni ammirevoli che rimangono effettivamente scolpite nella memoria (come la bellissima e lunga soggettiva di lui che cerca lei nascosta dietro un albero). Ma a che pro? Non è tanto questione di sterile decorazione, il fatto è che Garrone rimane troppo imbrigliato nella mera descrizione del fenomeno; subordina il suo ammirevole armamentario tecnico al lato più superficiale della narrazione, esprimendo la crudeltà della relazione in modo troppo pacatamente allusivo. È un sussurro proferito da una voce melodiosa, calda, accattivante, ma sempre un flebile sussurro rimane. Avesse esasperato la prepotenza della sua robusta grafìa filmica fino a congelare davvero la narrazione (invece che asservirla pedissequamente riempiendola di momenti “ad effetto”), avrebbe fatto toccare questo congelamento con la pulsione evidentemente di morte che anima il protagonista. E il film avrebbe acquisito un senso ben maggiore.
 

Voto: 23/30

23.02.2003

 


::: altre recensioni :::