PRIGIONE DI VETRO
di Daniel Sackheim
con Leelee Sobeski e Diane Lane



Un thriller, questo PRIGIONE DI VETRO, che si ricorderà soprattutto per un paio di ragioni: prima delle quali è Leelee Sobieski. Cresciuta dalle notti di EYES WIDE SHUT, esibisce un vocione e un fisico di sicuro interesse, oltre che una capacità di reggere l'intero film non comune a quell'età.
Una pellicola - e questo è l'altro elemento di interesse - che lavora soprattutto su ciò che potrebbe accadere o che si crede accadrà.
Leelee e il fratellino rimangono di colpo orfani, venendo di fatto adottati dai parenti - molto ricchi - dei loro genitori. Coperti di doni e confort sembrano pronti per un futuro ben più che dignitoso, nonostante la tragedia, per quanto non tutto sembri poi così chiaro.
Chi ha visto il trailer del film è già conscio del fatto che i sospetti hanno un senso, e si domanda a che punto arriverà la scena in cui il tutore chiuderà i due in uno scantinato. Ebbene è questo, almeno fino a lì, il gesto più clamoroso: l'unica vera azione del cattivo. Fin lì, infatti, l'accumulo emotivo non deflagra mai in scene-madre ed il regista ha il gusto di risparmiare prevedibile snodi da thriller preconfezionato. PRIGIONE DI VETRO, a livello mediatico, diventa dunque esemplare di come non sembri esistere altra forma di pubblicità se non quella di appiattire ai più comuni standard da thriller anche quello che - pur non degno di molte più note - si presenta quanto meno come un tentativo di superare quegli stessi cliché. La tensione si alza pian piano e, finché regge, Daniel Sackheim la sa costruire anche attraverso un passaggio dietro ai vetri, un gesto male inteso, il riflesso dell'acqua sui vetri della reggia-"prigione". Poi, purtroppo, tutto ritorna all'ordine.

Voto: 24/30

Andrea DE CANDIDO
18 - 01 - 02

Ruby, adolescente inquieta ed ostile, e Rhett, bambino introverso e chiuso nel suo mondo di giochi, devono affrontare insieme, senza essersi mai veramente conosciuti, senza essere capaci di condividere e lenire il dolore, la morte tragica dei genitori. L’evento traumatico, oltre a lasciarli in una penosa condizione psicologica di smarrimento e rifiuto della realtà, li costringerà a cambiare vita ed a trasferirsi a Malibu nella casa di vetro ed acciaio dei loro tutori: i Glass. Una soluzione apparentemente perfetta rivelerà, in breve, risvolti sconcertanti filati di moventi misteriosi, cupi scenari di apprensione e turbamento, lucidi percorsi di follia e morte, finché la villa a picco sull’oceano, incuneata tra cielo e mare, si trasformerà in una prigione di cristallo. Il regista Daniel Sackheim, al suo esordio sul grande schermo, tenta la strada del giallo psicologico proponendosi il risultato di una storia "narrata più per sottrazione che per accumulazione" ma non riesce ad oltrepassare il limite di un prodotto fragile e poco intrigante, qualitativamente più vicino ad uno dei film tv da lui già diretti per le serie X-FILES o NYPD che ad un’opera che pretende di essere percepita come un labirinto della mente in cui nulla è davvero ciò che appare. I tanti elementi in cui la vicenda potrebbe essere scomposta, analizzata e ricostruita in modo da dare compiutezza alla narrazione vengono solo accennati in questo film che non ha nulla della dimensione introspettiva e problematica necessaria a dare solidità e fondamento ad una vicenda in cui la psicologia dei personaggi gioca un ruolo meno rilevante della villa in cui la storia è ambientata. Così nulla si dice del difficile passaggio della protagonista, una Leelee Sobieski volutamente scostante, da una vita di futilità giovanili alla presa di coscienza desolata della condizione di orfana, dei rapporti conflittuali coi genitori riscoperti affettuosi e protettivi dopo la perdita e solo in sporadiche rivelazioni oniriche, del legame col fratellino, estraneo sotto lo stesso tetto prima, complice senza reticenze né giustificazioni logiche nel momento della vendetta, o ancora dei sospetti che guidano la ricostruzione degli eventi che, grano dopo grano, da supposizioni incredibili si condenseranno in ipotesi sempre più atrocemente verosimili e fondate. Il regista, del resto, cerca di mischiare un po’ le carte e mantenere alta la tensione quando, alla perfezione della coppia dei vecchi amici di famiglia investiti della tutela (con annessa gestione dei fondi di una cospicua eredità), una Diane Lane appassita e caricaturale ed uno Skarsgard Stellan che dopo LE ONDE DEL DESTINO e DANCER IN THE DARK meritava qualcosa di più, comincia a sovrapporre elementi di disturbo (le presunte tensioni sessuali del maturo Terry nei confronti di Ruby, i problemi di socializzazione della ragazzina, le ipotesi gelide di un infanzia da trascorrere in qualche Istituto per minori) fino a rivelare, dapprima sfocandole, poi sempre più sfacciatamente gridandole, le mille smagliature di un’apparenza che nasconde solitudine ed incomunicabilità, minata dalla tossicodipendenza e dilaniata dagli artigli dell’usura. Leelee Sobieski, che dopo l’ambiguità della bambina prostituta di EYES WIDE SHUT non ha ancora ritrovato un personaggio che le consenta di proseguire la sua promettente crescita professionale, si accontenta, qui, di un ruolo monolitico e superficiale, limitandosi a sfoggiare il suo repertorio di sguardi liquidi senza nulla dare del suo talento ad una figura di adolescente che, forse, a dirla tutta, neppure merita tale investimento. La prevedibilità, che è il difetto più evidente di qualsiasi pellicola, diventa, in questo progetto con ambizioni di thriller, un vero e proprio peccato che non viene riscattato, se non solo in parte, da alcune scelte registiche di pregio che, dilatando o restringendo gli spazi per assecondare una certa logica del pathos riescono, a sprazzi, a costruire da sole quel senso di claustrofobia e costrizione che è il maggior pregio e forse l’unico valido motivo per vedere PRIGIONE DI VETRO.

Voto: 21/30

Elisa SCHIANCHI
21 - 01 - 02


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