ponyo sulla scogliera

di Hayao Miyazaki

Animazione

di Marco GROSOLI

 

30/30

 

Ponyo è una pesciolina che vuole diventare umana. Il padre, che ha abbandonato l’impurità dell’umano per la perfezione dell’acqua, non vuole. La aiuterà un bambino il cui padre ha anche lui abbandonato la madre (non meno decisiva nella sua rabbiosa determinazione) e la terra per lavorare come marinaio, e una specie di dea acquatico/lunare. Intanto il mondo quasi scompare allagato dalle acque furibonde, ma non ha troppa importanza.
Non ce l’ha, perché la catastrofe (onnipresente in ogni grande film giapponese del dopoguerra che si rispetta) è un gioco da ragazzi, letteralmente. Il bambino protagonista si salva perché ignora la catastrofe, e continua a giocare, a mettere insieme pezzettini per fare una barchetta, quella barchetta che lo salverà e lo farà sopravvivere dalla contemporanea scomparsa del mondo cui nemmeno la madre scampa. In questo e molti altri sensi, questo film è una sorta di fulgente “anti-Titanic”, simultaneamente più ilare e più disperato del capolavoro di Cameron. La catastrofe non è più come in quel film la fine e il compimento della tecnica, perché qui la tecnica muore sì ma risorge nelle fattezze del gioco, che informa non solo l’atteggiamento del protagonista ma anche il tono complessivo del film, che svolazza a pelo d’acqua la catastrofe senza farsene intimorire, grazie alla sua innocenza, grazie all’entusiasmante orchestrazione, ritmicamente davvero sbalorditiva (basti per tutte la maestosa scena di Ponyo che esce dalle acque e il suo trascinante crescendo) di suoni, colori ed emozioni. Di forme soprattutto.
E qui veniamo all’altra distinzione-cardine rispetto a Titanic. L’acqua tanto temuta e riverita e rivestita di onnipotenza da Cameron è qui oggetto di vera e propria ripulsa. L’acqua è per eccellenza informe, e l’informe è apertamente disprezzato da Miyazaki, che orchestra un ennesimo trionfo di forme in inarrestabile germinazione. Solo quand’è anche lunare (la dea buona della luna) l’acqua “si salva”. Tant’è che Miyazaki tratta l’acqua come non fosse quella materia indeterminata che è: le dà una forma, un volume e una viscosità. Miyazaki avversa e combatte l’informe, ma la sua strategia è l’esatto contrario del piazzare le forme da una parte e l’informe dall’altra. Ciò che lui avversa e combatte è l’informe come non-materia separata dalla materia, l’acqua come informità separata dalla forma. E infatti ricicla l’informe dentro le forme, in guisa di una stupefacente indeterminazione cromatica, tra l’impressionismo e il disegno infantile, all’interno di contorni nettissimi che separano le figure a prezzo anche dell’imprecisione prospettica o volumetrica.
Per questo la vecchia Toki, il personaggio-chiave proprio perché il meno “sveglio” e quello che di converso rappresenta tutto ciò da cui il film rifugge, non solo ha il terrore della catastrofe (quella catastrofe davanti cui il film ci dice che non si può non giocare), ma soprattutto non riconosce, e fraintende, la forma del piccolo origami che il bambino le consegna in mano. La forma è tutto, e la sua stessa dissoluzione catastrofica non può in alcun modo arrestarla. Si ricomincia sempre, anche dopo il disastro, con lo stesso stupore per le forme che la vita (e Miyazaki con lei, per il nostro stupore) sprigiona senza mai fermarsi, lo stupore di Ponyo approdata alla Terra per ogni minuzia domestica che ai nostri poveri occhi appare risaputa: accendere il gas, sollevare uno spaghetto…

È proprio vero, e Miyazaki ce lo ricorda da decenni: niente ci è e ci sarà mai alieno, sconosciuto e meraviglioso quanto l’umano.
 

03:09:2008

Gake no ue no Ponyo
Regia Hayao Miyazaki
Giappone 2009, 101'

DUI: 20 marzo 2009

Lucky Red
Animazione