
Millenovecentoquarantanove, una giovane donna in quello che sembra essere un
ricevimento alla moda, ha con se una copia della rivista Life, la porge ad
un uomo: “Signor Pollock me la firma per favore?”. Torniamo indietro nel
1941 è qui che parte il racconto della porzione più significativa della vita
artistica e privata di Jackson Pollock, uno dei pittori più rivoluzionari ed
importanti nel dopoguerra in America e nel mondo. Figura di spicco
dell’espressionismo astratto ed inventore del dripping (una tecnica
pittorica in cui il pennello non tocca la tela ma lascia sgocciolare
semplicemente il colore). Un’esistenza infelice, sempre sull’orlo della
crisi creativa che accomuna i grandi geni di ogni arte, dominata dall’alcool
e dai difficili rapporti tra sudditanza e dominazione con la moglie e
artista Lee Krasner. Nemmeno il citato articolo di Life che lo consacra come
“il più grande pittore vivente degli Stati Uniti” porterà un poco di
serenità della vita del pittore che si trascinerà tra la bottiglia, gli
adulteri e idee che non arrivano fino ad una tragica notte del 1956 che pone
fine alla sua tormentata parabola esistenziale.
Ci viene da chiedere spesso come funzionino le menti dei distributori
nostrani, attività che non ci occupa per molto tempo dal momento che le
logiche di distribuzione in Italia sono forse la cosa di più arcano che ci
sia su questa terra. In questo caso il problema è semplice e salta subito
all’occhio: c’era forse, o si sentiva così il bisogno, di distribuire un
film presentato al Festival di Venezia tre anni fa, passato praticamente
inosservato e di caratura certamente mediocre? L’unico interesse poteva
essere rappresentato dal fatto che fosse un’opera prima dell’attore Ed
Harris (The Abyss, Nixon, Potere assoluto, The Truman Show) passato dietro
la cinepresa per raccontare la vita di un’artista che probabilmente ha
parecchio a cuore. Non mettendo in dubbio l’importanza di un’artista come
Jackson Pollock, ci viene da chiederci cosa ci sia dietro un film che
comunque ha una messa in scena dignitosa ma scolastica (sarebbero state
migliori se fossero state presenti della sbavature), pregio o difetto che
l’accomuna alla sceneggiatura e a tutti gli elementi della pellicola in
generale; la risposta almeno in questo caso è semplice: il nulla più
assoluto. Avesse almeno il buon Harris evitato gli stereotipi nel
rappresentare un’artista dalla vita tutto genio e sregolatezza, con
evidentemente compiacimento e divertimento (gigionesco) da parte del regista
interprete che lodiamo per il fisique du role (leggi panza da alcolizzato).
Un avvertimento ai professori d’arte dei licei italiani non portateci le
scolaresche anche se colti da una crisi di memoria storico artistica:
potrebbero odiare il cinema per sempre. Finito di vedere il film, l’unico
sentimento che ci attraversa il corpo è la l’amarezza cinefila che ci porta
a chiedere che fine hanno fatto una serie di pellicole passate da anni nei
festival e che forse meritavano, maggiormente, di essere viste; un esempio?
Vogliamo gli ultimi due film di Assayas!!!
Link:
http://www.columbiatristar.it/
Voto:21/30
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