
10 marzo 1948: scompare nel nulla il segretario della Camera del Lavoro
dei Contadini, Placido Rizzotto.
Per uno strano caso del destino attorno alla sua morte cominceranno a
ruotare personaggi che in seguito diventeranno importanti, a vario titolo,
per la storia italiana contemporanea.
Carlo Alberto della Chiesa, responsabile per le indagini, Luciano luggio
capostipite dei padroni della Mafia.
Uno spaccato del nostro passato che Pasquale Scimeca trasforma in un toccante
e controverso film. Agitazioni contadine e popolari smuovono la già pesante
atmosfera della Sicilia del dopoguerra, dove la povertà si unisce alla
disperazione e alla rabbia.
La ricostruzione di una terra dilaniata dalle atrocità del conflitto si
muove alla comparsa delle prime lotte contadine del secolo scorso. E il
grido di un uomo, Placido Rizzotto appunto, che si spande contro gli abusi
di una corruzione dilagante.
Un film coraggioso sul coraggio di voler cambiare gli altri, se stessi,
la mentalità di chi ha voluto e vuole annientare i diritti dei più deboli.
Ma soprattutto il desiderio - come lo stesso Scimeca sostiene - di cogliere
e descrivere la frattura tra le generazioni in certe particolari condizioni
storiche. Sconvolgimenti sociali che smuovono le coscienze, che sovvertono
i rapporti umani e fanno uscire allo scoperto le colpe impunite di ordini
secolari costituiti.
Una pagina nera del trascorso italiano narrata con la forza dell'epos
tradizionale dove la forza di un popolo e i sentimenti di un'umanità sofferta
si fondono tra loro.
Una regia puntuale in grado di documentare la tragicità dei fatti. La
tecnica segue e dirige la dinamicità delle circostanze senza forzare i
toni o amplificare i contrasti. Bravi gli interpreti.
Un connubio armonioso dunque tra storia e natura, vita e morte di cui
Corleone diviene il palcoscenico di un mondo derelitto.
Voto: 27/30
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