
Un album di figurine sulla rampa di lancio,
la distribuzione della colonna sonora affidata a una major a stelle e
strisce, rassegne teatrali e cinematografiche ad hoc in ogni centro urbano
che si rispetti, una moltitudine di gadget di sicuro successo. Harry Potter?
Niente affatto, si tratta di un ex imprendibile diavoletto che con gli
anni, grazie alla sua verve dissacratoria e soprattutto al talento da
Re Mida della consorte, si è ritrovato gallina dalle uova d'oro e salvezza
del cinema italiano. La corazzata "Pinocchio" inizia la sua campagna di
conquista dal suolo patrio, si lascia solleticare dai giudizi non eccessivamente
osannanti di parte della critica e, dopo una sola settimana di programmazione,
si avvia a polverizzare ogni record di incassi presso l'italico botteghino.
Bisogna oltretutto ricordare che negli States la parabola di Collodi uscirà,
preceduta da un'altrettanto estenuante campagna pubblicitaria, il giorno
di Natale. Quale padre snaturato avrà il coraggio di vietare ai figlioletti
cotanta fantasmagorìa? Qual giurato potrà mai, meno di tre mesi dopo,
rifiutargli un Oscar? Si dirà: ecco un altro cribacchino pauperista, gonfio
di livore e pronto a sparare a zero contro l'unico italiano capace di
rinverdire i bei tempi andati di Fellini e Visconti. Ebbene, la verità
è un'altra: il "Pinocchio" di Benigni perde il confronto sia con la versione
televisiva Rai sia, e questo è ancor più preoccupante, con quella animata
di Walt Disney. Che un toscano doc si facesse battere in casa da una spia
russa (mefistofelico Walt...) coi baffetti alla Clark Gable, nessuno se
lo sarebbe mai aspettato: a ben vedere, però, le animazioni del 1940 riescono
ancora oggi nell'intento di emozionare, sorprendere, commuovere lo spettatore,
eliminando la quarta parete che separa il palco dalla platea, lo schermo
dalla poltroncina. Benigni no. Ci si può stupire al cospetto di un paese
dei balocchi mai così chiassoso e sottesamente angosciante, si può apprezzare
lo sforzo recitativo dei Fichi d'India nel ruolo del Gatto e la Volpe
(non i risultati), ma le due ore in cui si condensa la vicenda si trascinano
via senza memorabili fuochi d'artificio, seguendo un ritmo veloce ma niente
affatto coinvolgente. Il (de)merito principale di tutto ciò va ascritto,
con buona probabilità, a Fata Turchina-Nicoletta Braschi, sempre più a
suo agio dietro il desk manageriale e sempre meno davanti alla macchina
da presa: anche volendo sorvolare sulle ieratiche espressioni che paiono
ispirate dall'automa di "Metropolis" è necessario ammettere che, quanto
a phisuque du role, anche Anna Mazzamauro avrebbe potuto rivelarsi un'alternativa
preferibile. Nonostante tutto questo, "Pinocchio" merita senza dubbio
di essere visto al cinema: fra due anni, in salotto, l'eco di questo capolavoro
fasullo si sarà spenta, i saltelli dell'ex Benignaccio saranno entrati
di diritto nella storia del cinema (quale storia? quale cinema?) e la
Miramax avrà fra le mani un nuovo blockbuster made in Tuscany pronto a
frantumare la concorrenza...
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Luca Caldarelli
29 -
10 - 02
Pinocchio… e lo schermo
si colora. Luci, musica, scenografia, costumi, attori e soprattutto storia
perfetta…Pinocchio di Benigni è un vero evento e ci ricorderemo del suo
“Pinocchio”, come il “Don Giovanni” di Fellini, il “Ben Hur” e via dicendo.
Non sbaglia film e i soldi non sembrano essere stati spesi a vuoto, certo
un pò infantile, certo molto buonista, ma si sa benignaccio si è trasformato
e per ora sono lontani i tempi dell’irriverenza e della satira. Il film
fila diritto come un treno, con buoni ritmi e senza grandi sbavature,
la storia lo permette, una storia a cui Benigni non fa sconti, cerca di
tenere tutto dentro e si “dimentica” solo di un paio di cose che però
non cambiano il senso anzi, il finale rende giustizia allo spirito di
Collodi che affermò di non ricordare di aver scritto il “finale” che tutti
conosciamo. Pinocchio ridiventa bambino ma così facendo si conforma ad
un mondo che come dice Lucignolo lo ha “piegato”, Benigni ci riporta alla
verità: questo mondo bisogna accettarlo ma non per questo si perde il
nostro “spirito libero”… Non c’è nulla di Fellini, come aveva paventato
Benigni, Fellini avrebbe capovolto la storia e la sua rappresentazione.
Benigni mostra qualche limite corporeo e chi ha visto Totò fare Pinocchio
capisce a cosa mi riferisco… Pinocchio è una grande opera allegorica,
tutti i personaggi sono lo scimmiottamento della realtà, i giudici, i
carabinieri, il Gatto e la Volpe, che rappresentano l’accerchiamento della
società soggiogatrice e conformista a cui Pinocchio sfugge pagandone purtroppo
il dazio. Negli anni trenta Totò ne trasse una rivista irriverente e per
cui fu condannato alla deportazione: VOLUMINEIDE, cantando allegramente
“Siamo tutti burattini in libertà”. Bennato nel 77 si ispirò per il famoso
“Burattino senza fili” un’opera musicale di fantasia straripante. Benigni
ne cava forse il film meno irriverente ma più bello della sua carriera.
Belle le musiche, la scrittura anche (anche se c’era poco da scrivere),
buona la regia e bravi gli attori. Kim Rossi Stuart diventa sempre più
interessante, simpatico Peppe Barra nei panni del grillo, un tono sotto
Fichi d’india, la Braschi e Giuffrè che praticamente mette in scena Luca
Cupiello (protagonista di Natale in casa Cupiello di Eduardo) travestito
da Geppetto. Un solo limite: Pinocchio è una grande storia, non c’è nulla
che il cinema possa aggiungere…
Nicola Guarino
29 -10 - 02
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