
Prima ancora della pellicola, quella che è arrivata nelle sale italiane
(e nelle aspettative del pubblico) da Venerdì 14 settembre è l'Analogia
con l'omonimo film del 1968 al quale l'ultimo lavoro di Tim Burton sta
come Il vecchio e il mare di Hemingway a I Malavoglia
di Giovanni Verga. Un'analogia tanto invitante nella sua palese evidenza,
quanto depistatoria per due film che, pur avendo nel romanzo di Perre
Boulle il comune denominatore, in realtà seguono percorsi diversi nella
loro trentennale distanza anagrafica e autoriale, nonché sociologica e
tecnologica. Ed in realtà seguendo questa chiave di lettura l'opera di
Burton è destinata ad uscirne inevitabilmente perdente a causa di quella
tensione conservatrice propria dei cinefili e degli addetti ai lavori
i quali difficilmente perdonano remake, sequel e prequel di storie che
hanno lasciato un solco profondo tanto nella storia del cinema quanto
nel proprio immaginario e nei confronti delle quali ci si sente sempre
un po' debitori.
Dunque, è necessario liberarsi da ogni pregiudizio ed evitare di cadere
nella facile lusinga del paragone ("Occorre disimparare" direbbe Joda
il Saggio) ed è, per Il pianeta delle scimmie 2001, quasi un must al quale
affidarsi per una serena valutazione del film che ripropone il fascino
di questi primati troppo simili all'uomo. Oppure il contrario. E Burton
con il capovolgimento della situazione (le scimmie dominano su un genere
umano ridotto poco più che al rango di animale domestico) ci gioca e vi
alimenta la propria vena di "black humor" ("Non c'è niente di peggio che
un teen ager umano in giro per casa") che raggiunge il suo apice nel sorprendente
finale. Quindi, molto più che un remake, IL PIANETA DELLE SCIMMIE 2001
può considerarsi a pieno titolo sciolto da ogni vincolo parentale con
qualsiasi altra opera dallo stesso titolo. Se proprio si volesse tentare
la via dell'accostamento (ma queste operazioni forzose le potremmo lasciare
a critici di più chiara fama) si potrebbe dire che Tim Burton ha volto
lo sguardo al primo PIANETA DELLE SCIMMIE solo nell'ottica della
voglia di immortalare le icone pop del '900 comune a tutta la sua filmografia.
Ma quanto Tim Burton c'è su questo pianeta? Molto. O poco. Dipende dai
punti di vista. Si vede il suo tocco nei bellissimi movimenti di macchina
che assecondano ed esaltano gli scatti nervosi di uno straordinario Tim
Roth, il quale lascia ai propri occhi, densi di labirintica follia, il
compito di farsi riconoscere, nonostante il pesante trucco; lo si riconosce
nel commento musicale dell'immancabile Danny Elfman. Dove invece il Regista
di Burbank fa notare (e pesare) la propria assenza è nella struttura narrativa
interpretabile secondo diversi livelli di lettura che è presente in altri
suoi film (su tutti il corale MARS ATTACKS!) nei quali la forza di sceneggiatura
e dialoghi era sicuramente più incisiva ed imprimeva un ulteriore caratterizzazione
alla storia ed ai suoi personaggi. In questo senso non è il miglior Tim
Burton, ma in tempi di blockbuster e di un cinema americano spesso senza
anima, si tratta di un peccato veniale. Da vedere.
Voto: 27/30
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