PHOTOGRAPHIC MEMORY

di Ross McElwee

documentario

  di Marco Grosoli

 

28/30

 

Da più di trent'anni a questa parte, Ross McElwee continua a portare avanti un'idea di documentario non solo personalissima, ma anche squisitamente soggettiva. Praticamente, McElwee vive e respira con la cinepresa accanto. E appena nel materiale raccolto si sedimenta qualche traccia romanzesca, la cristallizzazione di qualche inattesa connessione incrociata tra eventi distanti fra loro, si sviluppa l'idea di un'opera, in cui la voce stessa di McElwee, in prima persona, guida lo spettatore in questa selva di segni acquattata nelle più stolide “tranches de vie” catturate dalla macchina da presa. Film dopo film (e spesso i suoi film ritornano e ri-citano film precedenti), McElwee ha costruito una magnifica autobiografia in cui ciò che sta dietro la cinepresa (cioè lui stesso) e ciò che sta davanti (il mondo) non cessano di rimandare vertiginosamente e incessantemente l'uno all'altro.

Non è un caso quindi che quest'ultima opera si chiuda con una citazione di Merleau-Ponty, filosofo che sull'autonomia della relazione soggetto-oggetto rispetto ai propri stessi termini ha scritto pagine di intramontabile suggestione e importanza. Merleau-Ponty era anche il filosofo preferito di Maurice, fotografo di matrimoni presso cui il giovanissimo McElwee ha compiuto il suo apprendistato nella Bretagna degli anni Settanta. Maurice fu una sorta di strampalato padre per lui: ed è per questo che a lui (e alla Bretagna) ritorna oggi, che ha difficoltà di comunicazione con un figlio opaco e introverso. Deve tornare a sapere che cosa voglia dire essere figlio, come già lui stesso fu. Gap generazionale, forse, ma soprattutto il gap incolmabile che separa la pellicola (con cui McElwee ha passato la vita) dal digitale, la reversione soggetto-oggetto dal gesto immediatamente socializzato e indefinitamente riprodotto che il digitale rende possibile e di cui suo figlio abusa in mille maniere e attraverso mille media. Di fatto, con la sua full immersion nell'ambiente mediale digitale il figlio di McElwee ha estromesso ogni comunicazione col padre. Il quale non riesce a non vedere le attività del figlio come solipsistiche (per quanto prolifiche e anche discretamente redditizie), tronche del polo “oggetto” e troppo legate al soggetto creatore beato tra le mille possibilità del numerico.

Maurice non lo troverà perché è morto anni prima: troverà però l'ex compagna del fotografo, nonché Maud, vecchia amante di Ross in quei giorni. Troverà soprattutto cose che non ricordava di se stesso, e che si sono depositate su un supporto indipendente dalla sua memoria e dalla sua intenzionalità, come fa la luce sulla pellicola. Il suo viaggio in Bretagna è in fondo lo stesso viaggio che qualsiasi pezzo di pellicola permette: un andirivieni surplace tra passato e presente. Anche se poi, quando si tratta di parlare col figlio all'altro lato dell'oceano, è skype che utilizza...

Cederà. Anche McElwee cederà al digitale, e farà da cameraman con una telecamerina iperleggera per il volenteroso esordio del figlio come attore e regista. Rispolvererà, insomma, la solita, preziosa lezione della reversibilità tra ciò che sta dietro e davanti la macchina da presa. Passerà insomma dalla parte dell'oggetto, si lascerà dirigere.

Come sempre, è davvero un'esperienza corroborante e vitale lasciarsi prendere dalle piste di senso imbastite da McElwee all'interno stesso del materiale documentario, dai quieti labirinti delle corrispondenze significanti che il soggetto letteralmente contende all'oggetto filmato. Poche cose come questa restituiscono fiducia nel rapporto con il mondo e nella possibilità che una qualche forma di senso possa investire la nostra presenza in esso.

 

09:09:2011