“Il corpo ingoia il mondo e a sua volta ne è
ingoiato”: così Mikhail Bakhtin parlava del grottesco al suo pubblico,
sessant’anni fa ormai, nell’avveneristico saggio “Rabelais and his world”.
Allo stesso modo è possibile parlare di
Persepolis per tentare di
decifrarne la sua natura ibrida: “Persepolis ingoia il mondo e a sua volta
il mondo ne è ingoiato”.
Un fumetto che viola il principio di mobilità, un cartone animato che
tradisce la legge del lieto fine, un documentario storico e sociale che
prende posizione sulla contemporaneità, infrangendo il dogma stesso del
qualunquismo contemporaneo.
Persepolis è il corpo che ingoia il mondo e ne è ingoiato perché ne prende
le forme, per poi ridisegnarle e ri-raccontarle a modo suo. Persepolis è
allo stesso tempo corpo e mondo: ingoia le emozioni del mondo che a sua
volta hanno ingoiato i suoi protagonisti, divenendo sempre più una sorta di
creatura ibrida.
Un’opera ibrida perché, nonostante sia stata concepita in uno scenario
bidimensionale, si sviluppa in una realtà tridimensionale, in cui la colonna
sonora ne costituisce la terza dimensione. Le musiche, curate da Oliver
Bernet, conferiscono a questo lungometraggio animato la dimensione mancante
per essere a tutti gli effetti un tridimensionale specchio della realtà. La
dimensione della sensibilità.
Memorabile e grottesco è l’adattamento di “Eye of the Tiger”, che ritma il
passaggio di Marjane da un forte stato depressivo al suo riscatto come donna
e come iraniana. Una sorta di parodia/omaggio alla pellicola di Rocky, in
cui però l’ingenua Marjane si ritrova a fare i conti con ben altri demoni
rispetto a quelli di Stallone.
Da bambina in Iran, figlia di una famiglia comunista in continua opposizione
alla tirannia dominante, prima quella dello Sha e poi quella della
Repubblica Islamica, Marjane si scopre donna adulta ma sola nella fredda
Europa.
Una sorta di “fumetto di formazione” che porta lo spettatore (probabilmente
più le spettatrici che gli spettatori) a viaggiare insieme a Marjane in un
mondo, che da Oriente a Occidente, “è pieno di stronzi”, come le dice la
nonna.
Quella che poteva essere sviluppata come la melensa e stereotipata
autobiografia a fumetti di Marjane Satrapi, risulta invece un piccolo
spezzato di mondo, in cui piccole e universali paure si fondono con le
guerre e le rivoluzioni del mondo Orientale e le contraddizioni di quello
Occidentale.
La protagonista non è una eroina, non è un personaggio che agisce sempre per
il bene comune: è un personaggio che pensa e si mette in discussione
continuamente. Una bambina che diventa donna e si trasforma contro la sua
volontà, divenendo estranea, nell’anima e nel corpo, sia al “moderno”
Occidente che all’integralista Oriente.
Senz’altro il fatto che la stessa Satrapi abbia collaborato alla regia con
Vincent Paronnaud, ha fatto si che la trasposizione animata del suo fumetto
non abbia perso la sua originale verve.
La scelta del bianco e nero per il passato della protagonista, ha regalato
ai personaggi di Persepolis un’espressività talmente reale, da causare quasi
un senso di delusione nel momento in cui si torna al presente a colori di
Marjane.
Il bianco dei gelsomini della nonna di Marjane e il nero del velo islamico
(ma anche della veste delle suore presso cui la protagonista è ospite)
scandiscono il film secondo un unico percorso di senso di base: la coerenza
e l’integrità con stessi, consigliati dalla nonna, contrapposti alla fede
cieca nel pregiudizio e nel pensiero dominante, che caratterizza ogni tipo
di obbedienza integralista e bigotta, presente sia nel mondo Orientale sia
in quello Occidentale.
Memorabile in Persepolis è
senz’altro la scenetta fra Dio e Marx, in cui Marx si permette persino di
copiare una delle più famose battute di Gesù (“Alzati e cammina”), ricevendo
da Dio una sarcastica alzata di sopracciciglio per tutta risposta.
Davvero di effetto è la scena in cui un missile colpisce la casa dei vicini
di Marjane. Lo spettatore per un momento è costretto a prendere il punto di
vista dello stesso missile e finisce per schiantarsi con lo sguardo dritto
dentro il palazzo dei Babalevi. A questa scena segue un pregevole omaggio ad
Edward Munch. Marjane vede, fra le macerie, la mano morta della sua vicina
di casa, e d’improvviso il suo volto si trasfigura nell’Urlo dell’angoscia
di Much: come nel quadro del pittore norvegese il cielo sembra tingersi di
rosso sangue, così intorno a Marjane tutto si fa nero e nel dissolversi
dell’immagine rimane solo il suo volto, trasfigurato, che si spegne sospeso
di fronte alla Morte.
Persepolis non è solo un
fumetto, non è solo un cartone animato, non è un film e non è nemmeno, solo,
un romanzo di formazione. È una creatura ibrida fra animazione e realtà che
lascia lo spettatore da un parte divertito dall’ironia che caratterizza
quest’opera, dall’altra inquietato dal suo realismo. Dall’altra parte
ancora, pieno di domande, proprio come la piccola Marjane.
14:03:2008 |