PER QUESTI STRETTI MORIRE

(CARTOGRAFIA DI UNA PASSIONE)

di Giuseppe Gaudino, Isabella Sandri

con Antonio Ciurca, Giuseppe Frullo

di Marco GROSOLI

 

28/30

 

Benché ancora impossibilitati (per gretta sfiducia da parte dei produttori) a girare i progetti “massimalisti” che starebbero loro a cuore (come il loro meraviglioso Giro di lune tra terra e mare del 1997), Giuseppe Gaudino e Isabella Sandri continuano a perseguire la loro potente, inclassificabile idea di cinema.

Un’idea che, tralasciate (come sempre) le vane distinzioni tra fiction e documentario, potremmo senz’altro definire geologica. Curiosamente, con questa ultima opera i due registi affrontano un nome importante della nostrana geografia: De Agostini. Il fratello (Alberto Maria) del fondatore della casa editrice, infatti, dopo aver preso i voti ecclesiastici è stato all’inizio del XX secolo missionario in Sudamerica (Patagonia e Terra del Fuoco, soprattutto), e soprattutto è stato, di quei luoghi, uno straordinario esploratore, tuttora ricordato con fervore ed affetto da quelle popolazioni e dagli appassionati del settore di tutto il mondo.

Il film comincia in un museo cileno. Una delle addette trova un oggetto in esposizione misteriosamente fuoriposto. Tutto il film, in effetti, avrà a che vedere con questo: la rovina, il reperto, la sopravvivenza caduca del passato, si muove. Maestri incontrastati del “passo uno” italiano, dell’animazione “scattosa” con cui prendono vita oggetti inanimati a partire da pose statiche “morte”, Gaudino e Sandri prendono un ammasso di macerie lasciate dalla Storia, e ricostruiscono il movimento a partire dalla loro inerzia inorganica. Proprio letteralmente, buona parte del film si svolge in uno stanzone stracolmo di oggetti lasciati dal leggendario esploratore, con due giovani incaricati di mettere ordine in mezzo a tutto quell’infernale caos scenografico (la cui dismisura sovraccarica è uno dei tratti più inconfondibili di Gaudino/Sandri, entrambi anche scenografi), e soprattutto nella memoria di De Agostini. Sono loro a raccontarci i tratti essenziali della sua vita; si soffermano, in particolare, sul ruolo ambiguo che il missionario ricoprì di fronte allo sterminio delle popolazioni indigene per far posto agli allevamenti e alle industrie della lana. Anche se la cosa è impossibile da documentare con esattezza, parrebbe che di fronte al massacro De Agostini abbia optato per una sorta di “resistenza passiva”, un pacato ma fermo rifiuto a collaborare.

Forse lui stesso sapeva già che, come dice uno dei due ragazzi, anche se li stermini, loro ritornano sempre. Anche quando si crede di aver raggiunto la quiete dell’inorganico, il movimento torna a strisciare. È precisamente questa la geologia alla base del lavoro di Gaudino/Sandri: l’animazione a passo uno delle pose fisse dell’inanimato si pone come una sorta di stratigrafia del movimento, come una ricapitolazione degli strati immobili la cui successione “statica” nel tempo costituisce il movimento, la metamorfosi incessante della materia, lo sfogliarsi continuo dei suoi “stati”.

Non a caso, la bellissima “decomposizione” a passo uno della valanga di reperti accatastati in quel ripostiglio, che occupa tutta l’ultima parte, tra le varie metamorfosi poste in essere da questo incessante decomporsi della materia annovera anche, brevemente, i tratti di un mappamondo, certo non una carta geografica ma un “ricordo” diacronico e geologico della deriva dei continenti. La materia è un mucchio di strati immobili che si sfogliano, a passo uno, facendone risultare un “impossibile” movimento. E anche la memoria è qualcosa di analogo: per questo il film, insieme a questa “odissea nel ripostiglio” e nelle macerie, mescola immagini di repertorio direttamente filmate da De Agostini, e vedute paesaggistiche con una figurina nera sullo sfondo che non possiamo non identificare con il leggendario missionario/esploratore (nel presente?!?). Gli archi, struggenti, degli Epsilon Indi , nel frattempo, costruiscono un incessante tessuto sonoro che suggerisce immediatamente ai nostri sensi un’impressione di infrangibile, compatta uniformità – solo però per essere scossa ad ogni istante dai sommovimenti dalla materia che nella sua instabilità si scopre memoria, e di una memoria che si scopre tale solo a stretto contatto della (paesaggistica, innanzitutto) materia.

 

11:09:2010