Perdona e dimentica

di Todd Solondz

con Allison Janney, Charlotte Rampling

Altri interpreti: Ally Sheedy, Michael Kenneth Williams

di Gabriele FRANCIONI

 

30/lode

 

Nel nostro tentativo di ricognizione del cinema obamiano, che ci ostiniamo a credere potenzialmente diverso e a vocazione speleologica (i.e. scandaglio di mondi sommersi, investigazione del non-detto, etc), c’imbattiamo nell’inciampo di una vera e propria aporia, poi riconvertita in pura interrogazione: impossibile scegliere tra la generica attitudine liberal di un MILK, che sciacquava e candeggiava nella liquidità assente di un programmatico non-stile gli impulsi e le derive eterodosse di tematiche off-limits, e la carsicità caustica di un universo radicalmente indipendente, che mangia a morsi l’anima innocentemente corrotta della middle-class americana suburbana (e così facendo si autoconsuma, sino alla spossatezza produttivo/distributiva di tutti i film di Solondz)?
La risposta è scontata, poiché in un’epoca che trascina sulla scena del Reale problemi come quello della sanità, anche il primo presidente di colore opta per una riconferma, se non rafforzamento, della funzione lenitivo-curativa della macchina hollywoodiana.
Non è un caso che FORGIVENESS (questo il titolo originario, poi abbandonato, di LIFE DURING WARTIME) sia stato già venduto in Polonia, Serbia, Turchia e Scandinavia.
Come una decalcomania, i film di Solondz aderiscono a tutto ciò che è laterale. Troppo in là, spostato, marginale. Come questi Paesi ancora sfiancati dalla Storia, che li lascia, imperterrita, fuori dai bordi del ring (che conta).
Non è un caso neanche il fatto che lo stesso Solondz abbia dei precedenti come insegnante d’ inglese per neo-immigrati russi d’inizio anni Novanta.
In questo senso, nonostante il regista sbandieri in conferenze stampa un ritorno alla svagata ironia di DOLLHOUSE (WELCOME TO THE) e all’impianto corale di HAPPINESS - buona l’ultima, ma sembra solo uno spot per accostare promozionalmente la pellicola ai suoi maggiori successi, prima del blackout distributivo di STORYTELLING e PALINDROMES - questa è arte “statica”, lontana dai fremiti del Nuovo, coerentemente palindroma nel senso che fa andata e ritorno su se stessa, mettendo in rappresentazione pulsioni primarie con esiti mai catartici, in ambienti ammorbati da un senso di perennità del male ingiudicabile. Un cul de sac etico, che però va percorso per capire l’innocenza e l’umanità dello sgardo del regista: avanti, indietro, avanti ancora, palindromicamente.
Il regista, come sempre, non condanna alcunché, perché è parte di un universo osservato nella sua primordialità vitale, dove ogni attò può sperare di essere perdonato (forgiveness).
Solondz evita l'introspezione psicologica, devitalizzando ogni eventuale insorgere di pathos, e dando vita ad un cinema della crudeltà, che si astiene da giudizi sommari sui mostri che ritrae e da qualunque somministrazione di antidoti etici alla disperazione.
Era così per la ragazzina dodicenne alla ricerca primaria della maternità, genialmente moltiplicata in donne di ogni età (PALINDROMES) come nei disvelamenti di HAPPINESS e STORYTELLING, dove l’indicibilità di pedofilia e di sessualità interrazziale - tabù ancora nel 2010! - venivano esposti con la grazia di una Diane Arbus e la crudezza dei Chapman Brothers.
La “guerra” cui accenna il titolo orinale, oltretutto, ha zero a che vedere con quella a scala mondiale che si combatte tra forze incommensurabili se osservate da Miami o dal New Jersey. Guerre come faccende private, semmai, lontane dai grands recits, che invece sorvolano questo microcosmo d’istintualità sessuale compulsiva, unico antidoto alla solitudine assoluta (si veda anche il recente CHOKE).
Il codice genetico dell’anomalia è l’abuso di normalità. La microbiologia del quotidiano registra una latenza del tragico a favore dell’orrore perdonato da Solondz,che ha sempre lavorato su livelli espressivi di assoluta scarnificazione del Vero (a differenza dei vari Araki, Korine, Clark, Van Sant, irresistibilmente attratti dall’opzione onirica o grottesca, se non patinata) nell’ alveo di mondi estremi anche perché laterali, abbandonati a se stessi, ma di una divorante purezza.
Solondz, un quasi-rabbi in età giovanile, è l’antitesi woodyalleniana: il grottesco ottenuto senza le sovrastrutture della Cultura e della Citazione.
Chi può negare che, pur nella sua versione sfumata e da tabloids, anche l’ altro regista abbia affrontato, ad esempio, il tema della pedofilia?
Il perfetto cast di LIFE DURING WARTIME, un eccezionale mix di british, irish, wasp e black, si predispone a seguire l’andirivieni robotico di presunte aberrazioni domestiche sulla linea che dicevamo palindroma del cul de sac etico del film, attingendo alla staticità espressiva dello straordinario talento irlandese Ciaràn Hinds (IN BRUGES, MUNICH,THERE WILL BE BLOOD), meritevole di riconoscimenti assoluti, e all’ ambigua innocenza di Shirley Henderson, inglese (TRAINSPOTTING, 24 HOURS PARTY PEOPLE, MARIE ANTOINETTE). Allison Jenney e Michael Lerner (entrambi in CELEBRITY; poi in AMERICAN BEAUTY, JUNO o SAVING GRACE), correttamente wasp, osservano la scena con calibrata espressività.
Il film è anche un grande spot per attori - pure loro - assai laterali, periferici, cui è bello potersi affezionare, in attesa che anche altri si accorgano di loro.
 

18:04:2009

pubblicata originariamente in venezia.66

Life During Wartime
Regia Todd Solondz
Stati Uniti 2009, 96'

DUI: 16 aprile 2010
Archibald

Drammatico