l'innocenza del peccato

di Claude Chabrol

con Benoît Magimel, Ludivine Sagnier

di Marco GROSOLI

 

30/30

 

La giovane starletta televisiva Gabrielle è presa tra il maturo dongiovanni (felicemente sposato) Charles, scrittore di successo, e l’immaturo e infantile figlio di papà ricchissimo (e di una gelida buonadonna) Paul. Il primo non la considera, il secondo stravede: di conseguenza preferirà il primo ma finirà per oscillare senza posa tra l’uno e l’altro, fino al tragico epilogo e alla beffarda e inattesa conclusione.
“L’assenza di Penelope”: il titolo del best-seller di Charles racchiude il segreto dell’infittirsi di intrighi che il film dipana (con la consueta lucidità di messa in scena), perché Gabrielle è sì il perno di tutto il meccanismo ma non è in alcun modo la sua intenzione a muoverlo come invece la Huppert “freddo genio del male” in Grazie per la cioccolata (o come la diabolica madre di Paul). L’impersonalità dell’eroina (che le fa fare carriera velocemente in televisione) stavolta è acefala, un vuoto pneumatico che muove gli eventi e alla fine li risucchia dentro. Gabrielle è tagliata in due (come il film, peraltro, attraversato da una netta cesura verso i due terzi) perché vittima e artefice degli eventi nello stesso tempo, una e doppia come illustra il grandioso finale che non va rivelato. È la sua stessa impersonalità a scindersi, perché non è nemmeno intenzionale.
Ma perché Chabrol è così ossessionato dal “vuoto” che è il femminile, cercandone di film in film (più di 50) sempre nuove configurazioni? Perché in quel vuoto vede la terribile impersonalità automatica della macchina da presa, già oggetto e soggetto di terrore nei suoi due adorati numi tutelari Hitchcock e Lang. Anche qui, la sua macchina da presa è l’invisibile ragnatela che tesse il visibile ricucendo e suturando sguardi, spazi, movimenti, nascondendo maliziosamente la propria presenza dentro il tessuto e nel corso della tessitura. Basti ricordare la perfetta messa in scena dell’aggressione armata durante la celebrazione, o i giochi di sguardi e le finte soggettive tra Gabrielle e Charles, che per pura regia incarnano il loro desiderio (quando invece l’indesiderato Paul fa irruzione nell’inquadratura senza alcuna modulazione).
Intelaiare una tela, e rivelarne l’inconsistenza. L’unico “autore”, Charles, maniaco delle citazioni come Chabrol, è costantemente ridicolizzato: inutile illudersi di poter controllare la duplicità (come fa lui, che gestisce da maestro, e apertamente, moglie e amante) – bisogna lasciarsi dolentemente andare all’impersonalità come fa Gabrielle, lasciarsi “tagliare in due” da essa. Come Chabrol che pur rigidissimo controllore della propria regia sa perfettamente che è la macchina da presa a fare tutto quasi da sola – lui è solo una specie di tramite, metà impotente e metà onnipotente.

 

04:09:2007

 

Tutte le recensioni di Venezia  2007

La Fille coupée en deux
Regia: Claude Chabrol
Francia 2007, 115'
DUI: 08 febbraio 2008
Genere: drammatico