PIER PAOLO PASOLINI: LA RAGIONE DI UN SOGNO
di Laura Betti



Quello di Laura Betti è un lavoro di grande efficacia che sorvolando lo sterile nozionismo del documento ricostruisce il profilo spirituale e intellettuale di un autore, poeta, srittore e non secondariamente cineasta, la sua visione dell'ideologia marxista, il suo inserimento nell'elìte intellettuale della Roma anni cinquanta e sessanta, il suo modo di intendere il cinema come arte e come linguaggio. Attraverso un assemblaggio assolutamente fluido ed organico di materiali scelti dallo sterminato archivio raccolto dal "Fondo Pasolini", associazione di cui la Betti è fondatrice ed attuale presidente, si percorrono luoghi importanti dell'universo sociale e culturale in cui il nostro ha operato, non lesinando sequenze esteticamente penetranti, come gli steccati e i prati d'apertura, o gradevolmente suggestive, come le scene che Claire People filmò sull'incontro di calcio tra la troupe di SALO' e quella di NOVECENTO. Stralci suggestivi di interviste a popolani per la strada, calano lo sguardo sul mondo della povera gente, degli ultimi, degli "accattoni" per i quali Pasolini ha condotto la sua lotta sociale, il "sogno" fondato su una base ideologica che oggi, come allora, può apparire utopistica, ma di certo sostenuta da una impalcatura culutrale solida ed un indiscutibile impegno intellettuale. Un Pasolini studioso, dedito ad un costante impegno di ricerca ed assimilazione avida di idee e meditazioni: un Pasolini che dopo le serate di fraternità con le Roma intellettuale (tra gli altri Moravia, Volponi, Bertolucci) era solito appartarsi nella sua camera e darsi alla lettura: - "leggeva, leggeva moltissimo" - dichiara il suo compagno scrittore e senatore Paolo Volponi in una delle interviste a personaggi vicini al Pasolini uomo, puntualmente inserite nel montaggio del film. Un Pasolini, maestro e mentore di giovani ansiosi di sottrarsi alla omologazione culturale della borghesia in ascesa, strategicamente rivolto allo sviluppo di una capacità critica piuttosto che alla imposizione di sentenze ed idee preconcette, portatore di messaggi di una libertà autenticamente vissuta, coerentemente e forse più intensamente affermata in opposizione ad una figura paterna di formazione militare, asservita ad una cultura moralista e reazionaria.  Un personaggio evidentemente amato dai compagni di viaggio e da un popolo accalcato attorno alla sua bara nelle sequenze televisive della celebrazione funebre, sequenze grigie e sporche, nei cui fotogrammi scorre la partecipazione commossa di intellettuali, artisti e tanta "gente comune" alla scomparsa di un uomo importante. Particolarmente toccante è l'istantanea sulle lacrime del suo attore feticcio Ninetto Davoli. Ma accanto all'uomo dotto, al teorico di rivoluzioni sociali, conosciamo il Pasolini artista, poeta e scrittore, che sposa la macchina da presa come un prolungamento della sua penna. Benchè avesse dichiarato di non reputarsi "tecnicamente" un regista, dirottando il diritto di questo termine ad autori di indiscutibile valore come il suo contemporaneo Rossellini, ci offre invece delle riflesssioni assai lucide e mature sull'ontologia del mezzo cinematografico, che la dicono lunga su come il suo cinema fosse all'avanguardia allora e, ahimè, drammaticamente più avanti di tanto cinema attuale, soprattutto italiano: - "al teatro servono gli attori, al cinema no; un cane, se vero, può essere un grande attore nel cinema". Una visione che allo stereotipo neorealista deve soltanto l'assunzione di una responsabilità o la scelta di documento sociale, e si arricchisce di significati assai meno banali: il cinema come linguaggio diretto, luogo della rivelazione dionisiaca di una sostanza poetica che vive dentro le cose. la vita è poesia - dice ancora Pasolini - la donna che prepara la cena al marito compie un gesto poetico e mentre la scrittura necessita della mediazione di simboli più o meno codificati per rivelare questa poesia, il cinema non ne ha bisogno, ma si limita, aggiungeremo noi, a selezionare un volto della realtà, tra i suoi molteplici, ed a liberarne i "demoni" attraverso la manipolazione dei parametri linguistici di cui il mezzo dispone: il tempo, lo spazio, l'immagine, il suono. E' una visione sviluppatra, in tempi e modi diversi, da Antonioni e dalla scuola di Wenders ma che stenta ad essere assimilata da una opinione diffusa di cinema come tecnologia di intrattenimento in cui la passione per "il cast" sorretta dall'impalcatura globalizzata e volgarmente spettacolarizzata dello "star system" sopravanza di gran lunga l'appartenenza dell'opera al suo autore, la condensazione della dialettica narrativa in figure steretiope facilmente etichettabili spoglia l'arte cinematografica di una dimensione in senso profondo mitica e la suggestione di un racconto lineare ad uso e consumo di un pubblico pagante riduce spesso il cinema, per citare recenti parole di P. Greenaway, ad "appendice della letteratura" (il riferimento a "Il Signore degli Anelli ecc.." è tutt'altro che casuale). Un bel lavoro allora questo di Laura Betti, nota al pubblico per una lunga carriera nel mondo della cultura italiana, iniziata alla fine degli anni cinquanta come canatante jazz e sviluppatasi poi nel cinema con una lunga attività di attrice, nelle occasioni più felici sotto la direzione di Pasolini, più volte coronata da premi (tra cui la coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile nel film TEOREMA al Festival di Venezia del 1968). Il suo rapporto personale con Pasolini, sicuramente lungo e prolifico non solo sul piano professionale ma anche su quello umano ed intellettuale, non trapela nello svolgersi del documentario, che rimane libero da implicazioni personali e sviluppa un discorso rigoglioso e scorrevole sulla figura di un autore paradossalmente più apprezzato all'estero che in patria; dichiara la Betti: - "La scelta è una scelta di solitudine. Non è vero che in Italia si senta la presenza di Pasolini. all'estero è diverso, ci sono le file per vedere i suoi film, si discutono i suoi scritti come abbiamo visto fare in maniera commovente a Mosca". Un autore da recuperare e da approfondire. Un documentario da vedere e meditare.

Voto: 30/30

MIRCO GALIE'
03 - 03 - 02


::: altre recensioni :::