PARIS VU PAR
di AA.VV.

Un film collettivo dei registi nuovelle vague, o comunque gravitanti attorno all'aria dei Cahiers, rimane anche oggi un evento. E' vero che alcuni di questi non hanno certo fatto la storia del cinema (Pollet, Douchet) ma con loro - nel '64, l'anno di questo PARIS VU PAR... - c'erano già Chabrol, Rouch, Rohmer e un Godard ben più che già lanciato.
Il pretesto è semplice: sei vicende ambientate in altrettanti quartieri o luoghi parigini. Il più sorprendete degli episodi è senz'altro quello di Romher, perché l'occhio e l'abitudine dello spettatore odierno - almeno nella maggior parte dei casi - non si aspetta dal regista de IL RAGGIO VERDE un passato del quale può aver fatto parte questo cortometraggio pressoché comico, nel quale i lavori per una nuova stazione del metrò sono sfondo e scusa per una serie di vicende surreali legate alla presunta pericolosità di un ombrello.
Paradossale è anche Léon, incapace - nel corto di Pollet - di raggiungere lo scopo per cui ha fatto salire nel suo appartamente di .... - in questo senso, una delle vie più celebri di Parigi - una prostituta molto più sveglia di lui.
Più deludente il corto di Godard (in realtà da lui solamente superisionato), interamente costruito a partire da un falso equivoco e dal ruolo fondamentale del caso. Evidente lo scopo teorico e di riflessione sui meccanismi della narrazione, ma - proprio in questo senso - eccessivamente didascalico.
Chabrol - anche interprete del suo corto - è quello che forse di più assomiglia a quelli che oggi sono i suoi caratteri più chiari. Tutto si svolge in casa, in famiglia, uan famiglia che esiste solo formalmente: il padre è piuttosto interessato alla bellissima cameriera, la madre è assenete e il figlio non sa resistere alla situazione, non ne sopporta il rumore. E proprio il rimedio adottato sarà alla base di un'altra e più grave disgrazia.

Voto: 26/30

Andrea DE CANDIDO
04 - 01 - 02


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