
La nuova fatica di Ermanno Olmi, appare
come un metalinguaggio, una metafora della vita, della guerra, scoccata da
tempi lunghi, i tempi di chi pensa, di chi ha ruoli decisionali. La vita
vissuta come in un teatro, come raccontata da altri, recitata. Il teatro nel
cinema, il cinema nel teatro ed entrambi solcati dalla vita, che viene
raccontata attraverso una “favola” antica. La pellicola, è una allegoria dei
tempi di pace, perché quando la guerra imperversa, non si ha tempo di
dedicare la mente ad occupazioni salvifiche, intellettuali, quali il teatro,
la poesia, la meditazione, il canto. Il tema della guerra ritorna in Olmi
che dopo il Mestiere delle armi
(in questi giorni ha inaugurato, mostra dei costumi di scena, al Poldi
Pezzoli Milano), torna a mettere in luce i comportamenti umani, come nei
momenti decisivi della battaglia, in cui la fierezza, l’umanità, e la
cavalleria d’animo, dovrebbero sgorgare. Un giovane studente di oggi, invece
di entrare in una sala conferenze, per errore entra in un teatrino, ove
vengono narrate le vicende dei pirati, in particolare della mitica eroina
cinese: La vedova Ching. Una donna a cui tra fine settecento ed inizi del
secolo successivo, uccidono vilmente il marito, ammiraglio di una flotta
corsara, di cui lei coraggiosamente prenderà il comando, ella non si
abbasserà ai voleri dell’imperatore e degli avidi azionisti, a cui i pirati
facevano capo. Sino a che colpa e perdono si intersecano per dare nuova luce
ai fatti. Olmi con questo film, si prefigge, di narrare una favola saggia,
in quanto è attraverso la tradizione orale, che le culture millenarie, quale
quella cinese, impartiscono sapere, e alla quale è doveroso far capo per
comprendere anticipatamente e al meglio l’oggi, evitando errori clamorosi,
che la storia nel suo ripetersi ci insegna. Una rilettura sempre originale e
personale, attua Olmi nei confronti della storia, filtrata attraverso la sua
personale sensibilità, evitando pedisseque ricerche filologiche, che
talvolta rischiano di annientare il senso del discorso, della narrazione,
che qui, diviene tramite di un messaggio: il film stesso. Olmi ha fiducia
nella sensibilità femminile, nell’umanità che il sesso debole nei momenti
difficili della vita manifesta ed utilizza per far capo alle avversità. E’
così, che questa favola antica, giunge a noi, come una leggenda
attualizzata, più che mai utile, in tempi “bui”, in cui pare che gli uomini
non siano più in grado di comunicare tra loro. Questo, cinema, trasporta in
altre dimensioni temporali, facendo sognare, fantasticare attraverso, la
favola, il racconto storico, che non è documentario, ma evocazione,
espressione di un messaggio plurimo, in cui i cieli foschi, che preludono la
tempesta, sono forieri di accadimenti apparentemente funesti. E’ grazie al
perdono, di fronte al personale errare, alla possibile perdita della vita,
della libertà, che si comprendono i grandi valori, su cui gli antichi ci
portano a meditare. E’ la comprensione di una antica “parabola”, iscritta su
leggiadri e policromi aquiloni, che rivela alla vedova Ching (Jun Ichikawa),
il suo destino. Dopo una lunga notte trascorsa nell’attesa della fine, il
nuovo imperatore (perché nel nuovo non si ripetano i vecchi errori, monito
alle nuove generazioni!), strabilia tutti, non applicando la legge
millenaria che tracima dai polverosi codici, quanto piuttosto, attuando una
nuova via, nelle pratiche della giustizia, quella della comprensione, del
perdono.
Sito ufficiale
Voto: 30/30
26.11.2003
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