PANIC ROOM
di David Fincher
con Jodie Foster e Forest Whitaker



Chi è stato costretto ad installare in casa propria un allarme lo sa: quello che in teoria serve a proteggerci diviene, quasi subito, anche il simbolo evidente di un pericolo possibile. Il solo fatto che ci sia fa scattare inevitabilmente un meccanismo di isolamento (anche se virtuale) rispetto al mondo esterno: viene a crearsi, in definitiva, una sorta di "effetto trincea". PANIC ROOM, il nuovo film di David Fincher (già regista di SEVEN e THE GAME), in fondo, si occupa proprio di questo: del ribaltamento delle prospettive.
La volontà di dare una nuova dimensione e significato agli spazi del quotidiano (la casa, le stanze…) è, a dire il vero, più che evidente già nei titoli di testa. Siamo a New York, luogo che - 11 settembre a parte - significa, nell'immaginario architettonico (ma anche cinematografico) collettivo, grattacieli e palazzoni. Fincher è riuscito a dare un senso volumetrico nuovo anche a tale stereotipo incassando, tra uno stabile e l'altro, lettere e nomi tridimensionali. Massicci e fissi come mattoni, anche i credits sono lì a ribadire il ruolo centrale che il regista ha voluto attribuire qui ai concetti di solidità e edificio.
La vera protagonista di PANIC ROOM, infatti, non è tanto e solo Jodie Foster, ma la casa in cui si trova a vivere e della quale diviene immediatamente prigioniera. Costretta a trasferirsi con la figlia causa recente divorzio, Meg Altman (questo il nome del personaggio interpretato dalla regista di IL MIO PICCOLO GENIO) acquista uno splendido alloggio dotato pure di una "stanza del panico", blindata più di una cassaforte, e studiata per rifugiarvisi in caso di intrusione. Più che evidente, quindi, che la cosa succederà presto e Fincher, dopo aver incuriosito lo spettatore con le descrizione di questo particolare ambiente, non perde tempo. Non avrebbe senso: il meccanismo è chiaro e a lui non interessa troppo l'intreccio, almeno in questa fase. Rispettando le unità di luogo e di tempo (il film dura lo spazio di una notte), inizia infatti una ricognizione visiva dell'appartamento che, nonostante gli allarmi, è ovviamente tutt'altro che sicuro. Il regista, che per FIGHT CLUB aveva realizzato e montato un numero impressionante di inquadrature, qui si concentra invece nel tentativo di annullare - anche visivamente - le demarcazioni, i limiti, le interruzioni. L'entrata in scena dei tre rapinatori avviene infatti attraverso uno dei piani-sequenza tecnicamente più sorprendenti degli ultimi anni: una macchina da presa, su tre piani, percorre senza stacchi lo spazio tra il letto di Jodie Foster e la porta d'ingresso. Passa attraverso grate, scale, perfino manici di caffettiere pur di restituire l'idea di ostacoli (ovviamente i muri…) che, alla fine dei conti, hanno poco valore.
Qui entrano in gioco la Panic Room ma anche i limiti del film. Dicevamo del ribaltamento delle prospettive: la stanza da (e in quanto) luogo inviolabile diventa una prigione dalla quale tentare una fuga; le telecamere sono - chiunque le usi - uno strumento di controllo ma anche l'occhio verso ciò che non si vorrebbe vedere; la polizia si trasforma in pericolo anche per chi ne avrebbe bisogno; lo stesso bunker si trasforma per il suo creatore nel più impossibile degli enigmi, ecc. ecc. Tutti elementi di un racconto che scorre in velocità e può avere molteplici livelli di lettura (tra gli altri è la vicenda di tre nuclei familiari agli estremi opposti della scala sociale, ma accomunati dal non essere, per varie ragioni, più tali). Il problema è che, pur con tutte le sfumature di cui si è detto, il nucleo del film rimane sempre lo stesso, e da lì non ci si muove. PANIC ROOM è un thriller stilisticamente e tecnicamente perfetto ma, a conti fatti, privo di picchi. Si trattasse di snodi narrativi o di quant'altro il passato di Fincher giustificava altre aspettative: le sue storie (anche se non è autore delle sceneggiature che dirige) possedevano un plusvalore metaforico decisamente profondo e la demarcazioni morali tra i personaggi erano decisamente più sfumate. Ciò, in parte, accade anche qui, ma in maniera decisamente più meccanica e "scritta".

Voto: 27/30

Andrea DE CANDIDO
15 - 04 - 02


::: altre recensioni :::