
Alex, uomo di mezza età dall'indole timida e dall'aria un po' impacciata,
per vivere fa il killer al servizio di suo padre. Si sente infelice e
si rivolge ad uno psicanalista grazie al quale riesce a far emergere l'origine
dei suoi problemi, un conflitto irrisolto con il padre-padrone, colui
che lo ha iniziato fin da ragazzino alla professione di assassino. Così,
tra la routine familiare - le gioie che gli dona il figlio, i problematici
rapporti con la moglie che forse non ama più - e una relazione extra-coniugale
con la giovane e disturbata Sarah, le sedute procedono non senza difficoltà
fino a quando Alex viene chiamato dal padre a svolgere una nuova missione,
ed il bersaglio questa volta è proprio il suo psicanalista...
Non un vero e proprio noir, dunque, come faceva presagire il trailer passato
in televisione, ma un drammone familiare duro e puro, dalla messa
in scena essenziale, giocato su pochi luoghi e pochi personaggi e più
interessato all'introspezione psicologica che all'evoluzione degli eventi.
Il nodo centrale è ovviamente rappresentato dal conflitto interiore
di Alex, generato dal rapporto disturbato con un padre nemmeno all'apparenza
mansueto (ma in questo caso nemmeno la madre scherza) di cui subisce la
forte personalità fin da quando da ragazzo gli veniva insegnato come si
uccide una persona nel modo più veloce e sicuro ed egli obbediva ciecamente
alle richieste paterne con dei ripetuti "sissignore". Evidentemente non
paghi della lezione data da film come AMERICAN BEAUTY o HAPPINESS - solo
per citarne due recenti- gli indipendenti americani perseverano nell'opera
di demolizione filmica dell'istituzione familiare, mai come oggi
ricettacolo di perversione e di deriva morale - peraltro ben celata
dietro una facciata di borghese perbenismo - in cui ormai può capitare
di avere dei genitori che gestiscono con assoluta nonchalance
una "anonima omicidi" come se si trattasse di un frutta e verdura, interessati
a tramandare il totale disvalore che permea le loro vite alle generazioni
future, oltre alla gestione dell'azienda. E a rendere ancora più fosco
il panorama ogni tentativo di dialogo intergenerazionale sembra interdetto,
comprese quelle violente sfuriate familiari così liberatorie e tanto care
ai Sundance-movies, in cui vengono una volta per tutte alla superficie
tutti i nodi dolenti. Ma questo, sembra dirci la morale della storia,
vale per persone con la coscienza sporca, non per i "vecchi" di
PANIC che sembra che la coscienza non ce l'abbiano proprio. Non del tutto
risolto a livello narrativo, con un crescendo drammaturgico prevedibile
e stiracchiato, fiacco nella caratterizzazione dei personaggi di contorno,
questo film scritto e diretto da Henry Bromell, al di là di una discreta
confezione non ha molto da aggiungere a quanto è stato gia detto sull'argomento
dai suoi illustri predecessori cinematografici e non sviluppa a dovere
le poche intuizioni originali proposte dalla sceneggiatura. All'attivo
bisogna comunque segnalare il buon lavoro svolto dal cast: William H.
Macy che regge il film sulle sue spalle, con la telecamera che tallona
da vicino tutti i contorcimenti del suo animo; Barbara Bain (chi
si rivede, la dottoressa Russel di SPAZIO 1999) nel ruolo della madre
ultra-intransigente; Nave Campbell, brava anche lei ma francamente la
sua parte sembra imbastita per far arrivare la pellicola ai novanta minuti
di ordinanza; l'inossidabile Donald Sutherland, negli ultimi anni mai
sufficientemente sfruttato dal cinema che conta.
Voto: 23/30
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