OSCURE PRESENZE A COLD CREEK

( COLD CREEK MANOR )

di Mike Figgis
Con: Sharon Stone, Dennis Quaid

Stephen Dorff, Juliette Lewis

di Gabriele FRANCIONI


Mike Figgis (Leaving Las Vegas, 1995; Hotel, 2001 ) passa attraverso i generi e i formati con la sospetta sicurezza del filmmaker-artigiano, ma raramente lascia tracce del proprio passaggio.
Incuriosito da tutto cio’ che esula dal canonico prodotto commerciale – si vedano a proposito la recente partecipazione al progetto RED, HOT AND BLUES, insieme a Scorsese e Wenders fra gli altri, cui contribuisce in qualita’ di ex-musicista ( nella formazione pre-esordi discografici dei Roxy Music affiancava nientemeno che Eno e Bryan Ferry !!!), o l’ irritante attraversamento dei cascami del Dogma danese in HOTEL – il regista inglese non esita peraltro ad accettare ogni proposta di lavoro degli Studios hollywoodiani, con la malcelata scusa di rinvigorire presunte finanze dissestate.
Dopo VIA DA LAS VEGAS, Figgis si produce in un salto triplo che lo conduce direttamente nei territori del thriller psicotico con venature horror. COLD CREEK MANOR dovrebbe,o potrebbe, mettere in atto uno scandaglio approfondito della contrapposizione tra alienazione urbana in contesto familiare attraversato da crisi coniugale e analogo disadattamento in situazione extraurbana, con il tradizionale corredo di terror panico verso una Natura refrattaria a ogni tipo di conquista.
La villa di campagna dove la famiglia di un documentarista squattrinato si trasferisce per sfuggire al ritmo insostenibile di una New York resa ancor più nevrotica dall’ attacco alle Twin Towers, è in realtà, e non solo in senso figurato, il pozzo senza fondo di paure inconfessate ( il tradimento, la perdita, ), rese ancor più profonde dall’ intervento del prevedibile elemento esterno: il terzo incomodo, pronto a far leva sulla crisi della coppia, pur di riappropriarsi di quel Luogo – come lui selvaggio e ostile – di cui rappresenta, in maniera del tutto esplicita, il doppio.
Stephen Dorff, ga
leotto violento a metà tra Max Cady e Bubba Sawyer “Leatherface”, ha anch’ egli qualcosa da far pagare all’ antagonista Dennis Quaid: aver comprato a poche lire la casa di famiglia, messa all’ asta durante la sua prigionia.
Ma Quaid è un antieroe assoluto, e il suo mondo va sfaldandosi appena viene a contatto con “l’ alterità” del luogo, in forma di contesto fisico e umano.
Il problema è che, come si diceva, il prologo cittadino è troppo breve perché s’ inneschi un qualche ragionamento sulla psicologia di personaggi dall’ affettività anestetizzata e l’ immediata dislocazione di questi in altri territori fisici e mentali, risulta quantomeno affrettata o,peggio, giustificata dal mero innesco del meccanismo narrativo.
Il tradimento virtuale da parte della moglie ( Sharon Stone ), andava giocato sul piano del raffronto tra la tentazione rappresentata dal collega di lavoro – civilizzato e valutabile in base al proprio conto in banca - che propone una notte di sesso da monetizzare con salti di carriera; e quella, antitetica, dell’ ex-detenuto - il selvaggio tutto fisico e lavoro manuale – ridottosi a elemosinare un lavoro qualunque all’ usurpatore borghese venuto dalla vicina metropoli.
( A questo proposito: dovremmo trovarci nel New Jersey, ma in realtà siamo in Canada. Pur di non rischiare attentati sul territorio statunitense, le location sono state scelte altrove e alcune scene estive - tutto il prologo - sono state girate in condizioni di gelo invernale… ).
Per non dire, poi, di ciò che il film avrebbe potuto essere in termini di antitesi visiva tra il decor levigato di un appartamento sulla Fifth Avenue e la contorta struttura spaziale della old mansion nel bosco.
La pellicola è,invece, tutta costruita sull’ insinuarsi progressivo dell’ elemento esogeno all’ interno del nucleo familiare, processo corredato da una deprimente simbologia: Dale Massie/ Stephen Dorff si fa strada riempiendo la casa e la piscina di serpenti di ogni specie, inducendo la coppia a ragionare così: “Il problema è che non sai mai come comportarti quando ne incontri uno, perché non riconosci immediatamente quello innocuo da quello letale…”. Di pari passo va fallendo il tentativo d’ integrazione di Tilson/ Quaid e consorte nei confronti del villaggio vicino e le premesse per un affastellarsi progressivo di scene madri sono già tutte in atto.
Ciò che disturba maggiormente, peraltro, è il tentativo di anteporre, o giustapporre, a quello principale, un piano narrativo parallelo, che segue Tilson/ Quaid nella realizzazione di un documentario sulla villa carica di misteri: dove sono finiti i bambini che sorridono dalle foto trovate all’ interno della casa? erano i figli di Massie? chi ha scritto la demoniaca filastrocca canticchiata dal figlio del protagonista - il più contagiato dalla presunta maledizione del luogo e meritevole di maggiore sviluppo - ?
Non è il fatto in sé di raddoppiare la linea del racconto, quanto di filmare il tutto con camera a mano e di farci credere che ciò possa: 1) dirci qualcosa d’interessante sull’ attività di un filmaker indipendente; 2) indurre il sospetto che il film “vero”, quello voluto dal regista Mike Figgis che-non-si-vende-al-sistema-ma-anzi-lo-scardina-dall’interno, sia questa collezione d’ immagini gratuite, alcune addirittura filmate da Dennis Quaid in persona,un po’ HOTEL, un po’ BLAIR WITCH PROJECT.
Possibile che una mente evoluta possa pensare di doversi ricavare nicchie di regia à la page, vagamente e falsamente riconducibili ai dettami dell’ ormai decomposto Dogme ’95, proprio all’ interno di un prodotto ultracommerciale? Un filmetto-nel-filmetto che nessuno rischia di notare come fatto a se stante?
Se poi traslochiamo nel retrobottega del dvd di questo film, ci colpisce la maledizione del regista in vena di confessioni: il surplus di notazioni sulla tecnologia usata dal protagonista – ultramonitor della Apple, schermi per il controllo delle slides, videocamere piccole e piccolissime – sarebbe un atto dovuto di fedeltà e di doverosa registrazione del modo di lavorare, semplice ma complesso, moderno ma antico, di un artigiano del cinema “come non ce ne sono più da tempo”…
Salvo poi ammettere che le riprese attribuite a Quaid, visto nel film maneggiare una microcamera, sono state in realtà effettuate con un betacam professionale.
Insomma, un mélange di stereotipi di genere e di goffe deviazioni verso territori altri, concluso dall’ affrettato tratteggio del lato malvagio del villain interpretato da Dorff, tutto traumi infantili ( capre come gli agnelli di SILENCE OF THE LAMBS ) e disfunzioni sessuali.
 

Voto: 19/30

30.01.2004

 


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