
L'esistenza tranquilla di Ernesto Picciafuoco - pittore e illustratore
di professione, ateo convinto, con alle spalle un matrimonio in crisi
e un figlio che alle elementari ha deciso spontaneamente di frequentare
"l'ora di religione" - viene sconvolta quando viene informato che nei
confronti di sua madre è ormai in fase avanzata un processo di canonizzazione.
Si viene a sapere che ad uccidere la madre era stato anni prima proprio
un fratello di Ernesto affetto da gravi problemi psichici e che a fare
la richiesta di beatificazione sono stati gli altri fratelli e familiari
del pittore i quali - chi più, chi meno - sembrano tutti principalmente
interessati al molto più terreno tornaconto di immagine che deriverebbe
dalla santificazione della donna piuttosto che motivati da sentita fede
religiosa. A rendere ancora più complicata la vita di Ernesto ci si mettono
nell'ordine: un anziano conte nostalgico della monarchia che lo sfida
ad un duello all'arma bianca, i precoci dilemmi esistenziali del figlio
- che si pone già complicate domande sull'esistenza di Dio e sulla morte
- e il colpo di fulmine per la di lui "sedicente" maestra di religione.
Dopo alcuni film di ispirazione letteraria e a quasi quaranta anni dal
suo capolavoro riconosciuto I PUGNI IN TASCA, Bellocchio torna a dirigere
un film destinato a far discutere, a scandalizzare e a dividere. Quello
che dalla critica di matrice cattolica è stato spacciato per un "sgangherato
pamphlet" anticlericale è in realtà una dolorosa e personale riflessione
sull'ipocrisia imperante nella nostra società. Ernesto Picciafuoco - ateo
- sembra l'unico uomo rimasto sulla terra disposto ancora a credere in
ciò che pensa, mentre intorno a lui sfilano voltagabbana senza dignità
che per approfittare della situazione rinnegano, come nulla fosse, se
stessi e il proprio passato. Queste figurine di contorno danno vita ad
una sorta di carosello tragicomico in cui il protagonista si ritrova invischiato
suo malgrado; avvicinato da uomini di Chiesa (trasfigurata come istituzione
paludata e distante), braccato da una famiglia borghese soffocante e trafficona,
costretto a fare i conti con se stesso e con una intera generazione che
non sa più distinguere "cosa è bello e cosa è brutto". Il laicismo "urlato"
di Bellocchio merita rispetto, così come è da lodare la coerenza con cui
porta avanti il suo discorso fino in fondo (e che non si ferma nemmeno
davanti ad una tremenda, quanto "inevitabile", doppia bestemmia), forte
anche di uno stile meno "pesantemente" autoriale rispetto agli
ultimi film da lui diretti. Al buon risultato del film concorrono anche
la bravura del cast - Castelletto in primis, perfetto "alter ego" del
regista - l'ottima fotografia di Pasquale Mari e la splendida colonna
sonora realizzata da Riccardo Giugni. Da menzionare anche la breve apparizione
di Toni Bertorelli nei panni del Conte Bulla che sfida Ernesto in un surreale
duello di fioretto e il breve cameo dello stesso Bellocchio.
Voto: 28/30
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