
Tratto da una storia vera. Daniel (Travis) e
Susan (Ryan), due appassionati di immersioni subacquee, si concedono una
vacanza su un’isola anche per evadere dalla noia che ormai mina la loro
relazione. Il mattino seguente all’arrivo, partecipano ad una escursione di
gruppo, ma, ancora sott’acqua, vengono abbandonati dall’equipaggio
dell’imbarcazione a causa di un banale errore di conteggio: per parecchie
ore saranno costretti a rimanere soli, in pieno oceano e circondati dagli
squali, nella speranza che qualcuno prima o poi si accorga dell’equivoco e
torni a recuperarli.
Con due soli personaggi e la location più spartana che si possa immaginare,
Kent – autore anche di sceneggiatura e montaggio – gira un film-sfida e ne
esce sostanzialmente vincitore. Rendendo per una volta pertinente l’estetica
del digitale e la funzione espressiva della telecamera a mano, il regista e
montatore americano confeziona un terribile filmino delle vacanze che,
grazie anche ad una durata piuttosto contenuta ed al riferimento a fatti
realmente accaduti, tiene avvinti senza sosta. Possono lasciare perplessi la
flemma con cui inizialmente i due protagonisti reagiscono alla situazione di
pericolo e le loro comiche scaramucce sentimentali (“...e io che volevo
andare in montagna!” grida lei), anche perché il film ovviamente si mantiene
sempre ben più vicino a Lo Squalo
che a Il coltello nell’acqua
e la crisi di coppia rimane un mero pretesto, ma sono tutti elementi che
Kent adopera con perizia per prepararsi il decollo finale, per distendere lo
spettatore (sempre protagonista in prima persona in opere come questa) prima
di affondare il colpo. A questo punto, abbandonati definitivamente gli
angusti schemi di una cronaca documentaristica, si poteva osare di più e
puntare decisamente al brivido, ma Kent, preoccupato dal bisogno di donare
rigore al proprio lavoro e di non farlo sembrare troppo un
Blair Witch Project versione
acquatica, vi rinuncia, sfiorando il compitino ben eseguito. E invece poteva
riporre maggior fiducia nelle proprie capacità, anche perché quando si
concede impennate d’autore (le immagini della vita che continua a svolgersi
lontana dai protagonisti, remota e quasi onirica; i disegni sulla superficie
dell’acqua come incomprensibili geroglifici di una natura misteriosa e
impassibile) dimostra di possedere una mano felice.
Un’opera forse poco coraggiosa ma per tanti versi inattacabile, che si
aggira a proprio rischio in una zona intermedia fra i canoni del film di
genere e le pretese di un cinema più personale.
Voto: 25/30
10.08.2004
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