OPEN WATER
di Chris Kent
Con: Blanchard Ryan, Daniel Travis

di Emilio RANZATO


Tratto da una storia vera. Daniel (Travis) e Susan (Ryan), due appassionati di immersioni subacquee, si concedono una vacanza su un’isola anche per evadere dalla noia che ormai mina la loro relazione. Il mattino seguente all’arrivo, partecipano ad una escursione di gruppo, ma, ancora sott’acqua, vengono abbandonati dall’equipaggio dell’imbarcazione a causa di un banale errore di conteggio: per parecchie ore saranno costretti a rimanere soli, in pieno oceano e circondati dagli squali, nella speranza che qualcuno prima o poi si accorga dell’equivoco e torni a recuperarli.
Con due soli personaggi e la location più spartana che si possa immaginare, Kent – autore anche di sceneggiatura e montaggio – gira un film-sfida e ne esce sostanzialmente vincitore. Rendendo per una volta pertinente l’estetica del digitale e la funzione espressiva della telecamera a mano, il regista e montatore americano confeziona un terribile filmino delle vacanze che, grazie anche ad una durata piuttosto contenuta ed al riferimento a fatti realmente accaduti, tiene avvinti senza sosta. Possono lasciare perplessi la flemma con cui inizialmente i due protagonisti reagiscono alla situazione di pericolo e le loro comiche scaramucce sentimentali (“...e io che volevo andare in montagna!” grida lei), anche perché il film ovviamente si mantiene sempre ben più vicino a Lo Squalo che a Il coltello nell’acqua e la crisi di coppia rimane un mero pretesto, ma sono tutti elementi che Kent adopera con perizia per prepararsi il decollo finale, per distendere lo spettatore (sempre protagonista in prima persona in opere come questa) prima di affondare il colpo. A questo punto, abbandonati definitivamente gli angusti schemi di una cronaca documentaristica, si poteva osare di più e puntare decisamente al brivido, ma Kent, preoccupato dal bisogno di donare rigore al proprio lavoro e di non farlo sembrare troppo un Blair Witch Project versione acquatica, vi rinuncia, sfiorando il compitino ben eseguito. E invece poteva riporre maggior fiducia nelle proprie capacità, anche perché quando si concede impennate d’autore (le immagini della vita che continua a svolgersi lontana dai protagonisti, remota e quasi onirica; i disegni sulla superficie dell’acqua come incomprensibili geroglifici di una natura misteriosa e impassibile) dimostra di possedere una mano felice.
Un’opera forse poco coraggiosa ma per tanti versi inattacabile, che si aggira a proprio rischio in una zona intermedia fra i canoni del film di genere e le pretese di un cinema più personale.

 

Voto: 25/30

10.08.2004

 


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