Saper ascoltare le immagini o, alternativamente, saper vedere il suono.
Rileggere, reinventare, ribaltare la qualità e la natura dei cinque sensi, o
solo di alcuni - quelli più direttamente legati alla percezione indotta
dall'esperienza/cinema - con l'intenzione"aperta" e libera di superare i
confini segnati dalle abitudini del nostro corpo-strumento.
I titoli di testa scorrono (scorrere, "rein", come acqua) e, letteralmente,
generano ONDE. Inizialmente sono le onde del mare, prima ascoltate e poi
immaginate-viste, nel ricordo-sogno della protagonista (Anita Caprioli in
una delle sue prove più intense); successivamente saranno onde sonore, per
il compagno di lei, musicista cieco (interpretato da Ignazio Oliva).
"Lifeboat 10" - "Scialuppa di salvataggio n. 10".
Le prime immagini - ancora all'interno del "traum" di Anita - sono quelle di
una soggettiva, prima rallentata, poi sempre più accelerata, sul ponte di
una nave deserta, di notte. Un bianco accecante, mentale: la nave. Un nero
che è il "non vedere", liquido e assoluto: la notte.
Usciamo e rientriamo in un oblò (l'Occhio).
La corsa e i battiti aumentano/ rumore di fondo/ il respiro di chi corre.
Suono e sguardo intimamente connessi, subito collegati tra loro.
Stacco improvviso: primissimo piano di una mano che legge in Braille (tatto
per la vista).
Una lampadina si spegne e torniamo a "guardare" attraverso un altro occhio.
Seguiamo il ragazzo cieco dentro un appartamento, presumibilmente di notte:
lui tocca le pareti, che gli restituiscono altri segnali in un'altra forma
di Braille.
Musica elettronica in sottofondo (che non è tale, cioè non "sottofondo" -
dietro/ sotto - ma è su un piano parallelo).
Altro stacco: il letto di lei, primo piano del viso e della voglia che le
copre la guancia sinistra.
Passiamo in cucina, è giorno: lui le prepara la colazione, ma l'incontro tra
i due (lei è appena uscita dal NERO momentaneo del traum/sogno, lui è sempre
immerso in quel buio) presto si trasforma in un litigio secco e senza
indugi.
"Tu stai con me perché ti faccio pena, perché sono cieco! Sì, certo,
lasciati passare tutto addosso!".
Ora la ragazza è in metropolitana, dove incontra sguardi ostili. Entriamo in
galleria.
Il nostro vedere comincia a frammentarsi, man mano che seguiamo i percorsi
di Francesca, fuori e dentro se stessa.
L'inizio di ONDE è un'esposizione lucidissima dei temi contenuti nel film e
l'indicazione precisa per un modo innovativo di fare cinema, all'interno del
quale l'aspetto narrativo non può mai prescindere da una costruzione del
senso attuata anche attraverso l'uso della banda sonora. Un cinema che fa
ascoltare le immagini e vedere il suono. Francesco Fei, oltre a una storia
d'amore, dà vita ad un oggetto d'arte acustica e visuale nel quale dobbiamo
abbandonarci, senza peso ma con massima attenzione e sviluppo dei sensi.Il
regista dissemina la pellicola di
tracce-segnali-indicazioni-vibrazioni-linee di forza atte a guidarci entro
una "griglia" da leggere in maniera ipertestuale, avanti/ indietro, sopra/
sotto.
Siamo presi dentro una rete (net), in un "campo" dove le nostre antenne
captano molti segnali, alcuni forti alcuni meno, entro i quali scegliere con
libertà.
Grazie a raccordi che tali non sono (non sono raccordi narrativi, ma
interpolazioni visive), recepiamo input nuovi, che, al massimo, suggeriscono
un segnale a favore di un altro.Sono, tali interpolazioni, quasi delle
"immagini sonore fuori campo" che agiscono subliminalmente, in sostituzione
di una più prosaica (e univoca) voce narrante.
Questa altro non è che innovazione del linguaggio (non verbale).
Uno squarcio di cielo ritagliato tra i tetti delle case di Genova - dove si
sviluppa(no le) ONDE - può essere una di queste interpolazioni, sempre
accompagnata da un improvviso picco del diagramma acustico, rappresentato da
una nota ribattuta o una sequenza che si blocca in corrispondenza ad un
aumento del volume (tastiere elettroniche).
Spesso intervengono in una fase rem di Francesca, sempre in bilico tra sonno
e veglia. Lei, vero e proprio ricettacolo di stimoli esterni, cade nel
"traum" o è chiamata fuori da esso appena uno squillo o una risata
provenienti dal mondo reale ne alterano la percezione momentanea.
Molto bello il punto in cui, mentre la compagna di casa fa sesso nella
stanza accanto, Francesca/Anita viene ricollocata nella dimensione del
ricordo grazie al ridere di quella, che funge da innesco: m.d.p. dal basso,
le risa canzonatorie dei compagni per la voglia sul viso di lei bambina e
fuga disperata per le viuzze di Genova.
Improvviso e momentaneo sognare ricordando.
Poi, stacco acustico quando un campanello suona: ecco che transitiamo, dopo
una brevissima inquadratura del citofono, di nuovo sul ponte della nave
d'inizio film. Come ne LA NINA SANTA di Lucrecia Martel - opera
distantissima da ONDE - lo spazio filmico è abitato da corpi reagenti alle
stimolazioni multisensoriali e funge da cassa di risonanza perennemente
predisposta a recepire ogni piccola variazione proveniente dall'esterno o
dall'interno di esso.
Abitiamo, anche noi, un continuum che ci intrappola entro la "rete".
Luca è un musicista cieco, Robert Fripp del terzo millennio, generatore di
suoni anomali, discreet music, loop e feedback. Ha subìto il distacco
irreversibile della retina, ma un medico lo ha salvato facendogli ascoltare
musica per clavicembalo, tendendogli una corda nel buio. La volontà
"inconscia" ha agito in funzione vicaria, evitandogli la pornografia visiva
contemporanea: viadotti, ripetitori, discariche, aeroporti, sopraelevate.
Luca interagisce col mondo per via tattile e acustica, recependo le
vibrazioni emesse dai corpi e dalla materia inerte, leggendo con le dita le
convessità e concavità, in un braille di muri scrostati, oggetti domestici,
vecchi registratori Teac a quattro piste.
Francesca ha una voglia sul viso, bellissimo e melanconico. è tutta spigoli,
convessità dell'animo difficili da smussare. Passa da un lavoro all'altro,
irrequieta, tormentata e condizionata da ciò che la rende diversa (e più
sensibile). Cinetica, vive in un movimento perpetuo diverso dalla stasi
coatta di Luca: treni, metropolitana, aeroporti...
Quella che è la geografia invisibile a lui, che la ripensa in forma di bel
paesaggio, è il luogo dell'entelechia di lei.
Luca è a posto con se stesso, Francesca no. Ciò che la problematizza è la
possibilità di vedere. Luca ascolta onde sonore, lei ricorda il suono delle
onde del mare e le vede ("da bambina per diventare invisibile mi tappavo le
orecchie"), in una Genova passata, pulita, dai colori non alterati.
La loro è una simmetria sghemba, comunque dotata di un centro, che è il loro
incontro. L'avvicinamento è un'altra versione psichica del braille:
sfioramenti, carezze, letture cadenzate della pelle e dei capelli.
I due si (ri)conoscono per le rispettive "anomalie" e lentamente si amano,
sino alla routine.
La crisi interviene quando un elemento esterno, l'amico Alex, il falso
comunicatore (ha una lieve balbuzie), organizza l'inganno di una mostra
multimediale cui Francesco presta musiche concepite senza un fine,
inassociabili ad alcunché. Spot televisivi, volgarità mediatiche destinate a
corrompere la purezza di quel suono. Francesca interviene con decisione,
regalando la vista all'uomo che ama, raccontandogli il mondo per quello che
è e trascinandolo via da quella "atrocity exhibition".
La scrittura multimediale di Fei tende ad eludere, giustamente, ogni
richiesta di chiarimento.
La materia che viene lavorata vede accostarsi temporalità e prospettive
differenti, senza focalizzazioni di alcun tipo.
Voto: 25/30
11:05:2005
recensione tratta dallo
"Speciale Onde",
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