Rapito apparentemente senza motivo, Oh
Dae-su (Choi) viene rinchiuso in uno squallido e lurido monolocale per
quindici anni. Una volta liberato, solo (la moglie nel frattempo è stata
assassinata) e sull’orlo della follia, si metterà sulle tracce del
misterioso aguzzino. Con l’aiuto di Mi-do (Gang), una ragazza conosciuta
in un ristorante, arriverà a capire che cosa è realmente accaduto. Ma
non tutto sarà facile da accettare.
Al coreano Park (anche co-sceneggiatore nell’adattare un manga di
successo) riesce qualcosa che tanti autori moderni inutilmente anelano:
saper insinuare un autentico senso del dramma in un universo dai
contorni paradossali. Questo suo quinto lungometraggio, infatti, parte
come un pulp comico e anche un po’ fuori moda, ma poi prende
gradualmente e inaspettatamente quota, diventa leggiadro, quindi
profondissimo, si fa tragedia greca, viaggio psicanalitico, melodramma
spaventosamente lucido. E alla fine giunge a una catarsi che rende
significativi anche gli episodi e gli aspetti sembrati gratuiti,
forzati, modaioli, e trasforma in simbolico l’inverosimile.
Choi è una forza della natura, ma tutto il cast ha gioco facile,
supportato da una furia visionaria che conquista anche quando straripa e
un montaggio ipercinetico che, fra l’altro, permette al film di
affrancarsi nitidamente dalla propria matrice fumettistica.
Una turgida storia di vendetta da confrontare con quella, di cartapesta,
dell’ultimo Tarantino. Anche il post-moderno ha un’anima.
Gran Premio della Giuria a Cannes.
Voto: 29/30
06:05:2005 |