Le ricorrenti giaculatorie sul cinema italiano iniziano a Venezia e
proseguono, tra attese messianiche di impossibili rivoluzioni
produttive, nascita di nuovi talenti e decentramenti auspicati (da Torino,
dalla Puglia) e temuti (da Roma, naturellement),
sino all'estate successiva.
Quest'anno ci ha pensato la "Festa di Roma" ad autocelebrare la natura
centralizzata di un sistema duro a morire, con una
selezione ricca di titoli (Virzì, Comencini eccetera eccetera) di "autori
nostrani", definizione che suona un po' come un
sinistro ossimoro: il film di Crialese, quarantenne formatosi negli Stati Uniti, sembrerebbe
uscire dal coro, ma se RESPIRO aveva le stimmate
dell'opera a forte connotazione meridionalista anche in termini di
concezione, NUOVOMONDO rientra
nell'alveo del prodotto mainstream, parlato in siciliano, ma destinato a
una forte diffusione estera, segnatamente nell'America dei pronipoti degli emigrati ivi descritti.
A parte l'ingiustificato Leone creato ad hoc per consentirne un lancio
immediato e potente, la pellicola è il tentativo di
entrare, dalla porta di dietro, entro uno dei due ineludibili e sempre
evocati (dai decani della critica) filoni del cinema
nostrano: il neo-neo-neo-realismo.
Che ambirebbe ad essere magico, vista la prospettiva, lo sguardo ancestrale
che il protagonista applica alla modernità della
"terra nova", portandosi dietro, ma solo sulla retina, l'evocatività di
credenze a-logiche, qui esposte e iper-rappresentate nel lunghissimo prologo
siciliano. In quest'ottica, la visione di una foto evocante la contraffatta
superiorità dell'America (alberi che producono denari, mega-ortaggi lì cresciuti, etc) sconvolge il
protagonista, offrendogli quel segnale divino
che aspettava per decidersi a lasciare l'isola.
La sua famiglia, quindi, parte a inizio secolo verso gli Stati Uniti, alla
ricerca del benessere, del "futuro".
L'incontro con questa nuova dimensione rimane fuori campo e, dopo un
altrettanto estenuante segmento di viaggio (i classici ammassi di corpi transeunti, mano d'opera o materia prima per
costruire dal basso tale futuro, vivono l'esodo
come l'iniziazione verso qualcosa di potente sovrannaturale prevaricatore -
la nave stessa - e spesso soccombono, come il
neonato gettato a mare, o, per sopravvivere, si lanciano in tammurriate alla
Winspeare), si approda a Ellis Island, NYC.
Il luogo-filtro dove lasciare la propria identità e acquisirne una
rilucidata di nuovo, non prima di essere passati attraverso
le forche (anche qui si va troppo per le lunghe) delle prove d'intelligenza, per individuare i minus habens da far
rimpatriare prima che possano contagiare l'intelligenza dei colonizzatori.
Tra la Sicilia e Lamerica, però, s'interpone l'Europa (Charlotte
Gainsbourg) o solo L'Inghilterra, volendo, che dovrebbe
essere sia un lacerto evanescente di quel nuovomondo, una sua prima immagine
specchiata, sia il motore trascinante la
primordialità italica verso l'industrializzazione.
Però le intenzioni di Crialese rimangono sulla carta, nel tentativo di
realizzare un affresco sull'Emigrato di ogni tempo e di
innestare Tornatore su Amelio, cioè un ibrido poco probabile.
Non è solo questione di regia, che indulge troppo in quel registro
magico-ancestrale e negli inserti ad esso connessi (ben tre -3- le nuotate nel latte di Gainsbourg & co. al traino di
ortaggi-salvagente); anche i tempi filmici sono eccessivamente dilatati, senza che cresca il senso dell'attesa; il racconto, poi,
è mozzato proprio quando un auspicato lampo
deflagrante potrebbe segnare l'istantaneo scontro con il nuovomondo; ed è
irrisolto anche il modo di porsi verso i due
poli (passato-Sicilia-Terra / futuro-America-Mare) cui tendono il
protagonista e, segnatamente, la madre.
Non c'è una premessa o un accumulo di eventi che giustifichi il pendolo
tra desiderio di fuga, attesa, perplessità,
delusione etc: si espongono gli stati d'animo di un contadino, del figlio
muto e della antica madre a seconda dell'effetto
da suscitare nello spettatore o della necessità di approntare isolate
invenzioni visive e solo le prove d'intelligenza segnano
un chiaro discrimine tra illusione e realtà.
Non crediamo che i duri contadini del 1905 avessero continue visioni come
quelle spacciate per lirismo onirico nel film di
Crialese o che si autosotterrassero in polemica coi vecchi per esplicitare la
loro dipendenza dal lavoro e da un luogo senza
speranza: il regista è troppo autoindulgente e si concede ogni tipo di
licenza (la scena appena descritta, col relativo
corredo di alberi carichi di monete, ne è solo uno degli esempi più
irritanti) solo per giustificare l'effetto poetico isolato.
Non siamo convinti che i siciliani affamati di lavoro agissero come il
Salvatore del film, attoniti quando serve (al film) e
rivendicativi quando occorre.
Forse Crialese non ha il coraggio di prendere posizione (le dichiarazioni
del press-book lo confermano) e NUOVOMONDO
è un comodo spazio testuale nel quale fare stare dentro tutto: nostalgia
atavica per la terra d'origine, odio verso la stessa,
desiderio di fuga ma anche di ritorno, tensione verso la modernità e
opposizione ai suoi metodi e alle sue facies.
è il pendolo stesso del regista
emigrato, ricollocatosi negli USA per
studiare cinema, che restituisce il senso di questa impasse
finalizzata ad un'ampia distribuzione internazionale di un film "non
politico, non sociologico" (dal press-book citato), ma solo
velleitariamente poetico.
Voto: 22/30
09:09:2006
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