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NOWHERE TO HIDE è un action movie coreano che punta tutto sull'impatto visivo dell'immagine in movimento. La sceneggiatura, i temi e la trama sono ridotti all'osso e sono riassumibili in una parola: l'inseguimento. Il detective protagonista del film (l'ispettore Woo) definisce il suo mestiere con queste parole: "I detective catturano, qualunque cosa comporti" ed in quest'affermazione da bullo si condensano gli elementi più importanti del film. Mi spiego meglio. Woo è un poliziotto sgangherato, drogato di lavoro, non ha una vita privata e la sua casa sembra un centro sociale malandato. L'ispettore è ancora sufficientemente giovane per crogiolarsi in una serie ininterrotta di goliardate con gli altri agenti, altrettanto giovani. Il commissariato di polizia sembra una confraternita universitaria, dove la violenza abbonda come linguaggio universalmente riconosciuto dai maschietti. Gli interrogatori sono così poco ortodossi che la centrale di polizia sembra un luogo surreale e grottesco. Eppure Myung-Se afferma di aver vissuto a fianco dei poliziotti per diverso tempo prima di scrivere il film. Come Lucarelli (leggi intervista su KMX). Non so se adorare la finzione cinematografica o pensare che la Corea sia un paese di sadici pazzi! Lo stesso Woo è una piacevole caricatura dei duri del cinema come Bruce Lee (gli occhi a mandorla son sempre quelli). Ed in effetti l'ispettore è veramente una caricatura in omaggio ad un personaggio del cinema: il suo cappello sbrindellato ed inseparabile, la camminata da pugile, la mascella sporgente ricordano la fisionomia del grande regista John Woo, made in Hong Kong. L'ispettore protagonista è interpretato da Park Joong-Hoon, uno degli attori più popolari in Corea. Per loro sarà una stella comica, ma a noi non dice molto, perciò, per avere un'idea, immaginatevi un Jim Carrey con gli occhi a mandorla e la stessa faccia di gomma, versatile, trascinante, carismatico, autoironico, completamente idiota. In questo Park incarna lo spirito dei fumetti manga, dalla parte dei personaggi brutti e sfigati. Il nostro Woo è impegnato, per tutta la durata del film, in un inseguimento che potrebbe protrarsi all'infinito come un loop, un inseguimento molto poco cervellotico e strategico dal momento che il povero Park corre per tre quarti del film. Nelle parti restanti picchia qualcuno. Il cattivo di turno è un affascinante uomo ombra, dall'impermeabile rigorosamente nero; come Mister X, riesce sempre a scomparire nei labirinti di vecchi quartieri coreani. Misterioso ed inafferrabile, il fuggitivo è interpretato da un veterano del cinema coreano, Ahn Sung-Ki (come sono complicati questi nomi!). Il regista confessa di averlo chiamato ad indossare i panni di un criminale per screditare l'immagine di uomo gentile e sensibile che il pubblico aveva dai suoi precedenti film. Ma dal momento che un po' di tenerezza non guasta mai, soprattutto in un regista che si era dedicato a commedie romantiche, l'unico personaggio femminile è incarnato dalla dolce Choo Ji-Woo, famosa fotomodella coreana. Una sorta di Alessia Merz orientale con meno curve e, forse, più cervello. Non mancano i travestimenti, da entrambe le parti, così da potenziare l'effetto carnevalesco dei personaggi. E non manca neanche una pioggia torrenziale che fa tanto noir, ma che serve anche a creare uno spazio, fatto di righe verticali molto precise, "un ottimo mezzo per mostrare come il movimento sia essenzialmente fatto d'immobilità. L'immobilità contiene i movimenti che aspettano di essere liberati". Ma il tema dell'inseguimento non è utile solo a definire i personaggi, che peraltro sono delle macchiette abbastanza piatte, perché l'inseguimento è uno degli elementi ricorrenti nel cinema di tutti i tempi, l'inseguimento è movimento ed il movimento è ciò che distingue il cinema da tutte le altre forme d'espressione. Infatti Myung-Se ha voluto risalire all'essenza dell'immagine cinematografica e rendere un tributo al movimento "all'energia cinetica" che poi è "la natura primitiva dell'essere umano". In particolare il regista afferma: "Nei quadri di Monet, per esempio, il soggetto non è la ninfea - questo l'aveva già capito Baricco - quel fiore galleggiante è semplicemente l'oggetto su cui far cadere la luce che si vuole dipingere. Vediamo il suo riflesso nell'acqua ed il risultato è ciò che definiamo pittorico. Con questo film volevo riuscire a mostrare quello che possiamo definire filmico. La storia ed i personaggi non sono il fulcro del film, lo è il movimento. Il movimento compenetra gli altri elementi per creare l'azione cinetica". Questo ci rincuora, perché dal punto di vista della storia, il film è un fallimento. D'altronde Myung-Se è un regista molto preciso che, per studiare la natura del movimento, è andato ad osservare dei microcosmi come la danza, l'attività degli animali e lo sport. Questo, invece, l'aveva già fatto Degas. Il risultato è una pellicola dal ritmo velocissimo, un infarto visivo di sicuro effetto sul pubblico, tanto da essere acclamato al recente Sundance Film Festival. Il talentuoso cineasta alterna una serie di pezzi di bravura che potrebbero benissimo venire scorporati e presentati come corti esemplari agli studenti che vogliono far carriera ad Hollywood. Non saprei descrivere con precisione le scene, né i movimenti di macchina, perché erano troppo veloci per rendersene conto. L'impressione generale è quella di un videogioco tipo Mortal Combat, ma ad altissima definizione. Il movimento è svelato, sezionato, spinto alla massima velocità e rallentato fino al fermofotogramma. L'autore si diverte a manipolare il tempo e lo spazio: le rovine sono un set ricorrente in quanto luoghi senza tempo. Le scene di lotta ed inseguimento sono sicuramente un terreno ideale per questo tipo di ricerca. Il ritmo incalzante delle immagini è scandito da una sorta di heavy metal coreano che viene sparato a massimo volume. Myung-Si fa del suo film un manifesto della Korean New Wave, quel movimento di giovani cineasti che, dalla fine degli anni 80, stannno facendo impazzire la critica coreana ed internazionale sia per la loro energia innovativa, sia per l'aperta rottura nei confronti del cinema classico. NOWHERE TO HIDE è un film dichiaratamente sperimentale, che intende provocare ed aggredire le forme classiche quanto un'orda di neo-punk impasticcati. Dispiace che sia altrettanto privo di contenuti, perché l'energia c'è, ed anche un'abilità registica ai limiti del virtuosismo. Il regista si è scritto una sceneggiatura povera perché aveva fretta di andare a girare sul set, di prendere tra le mani quella deliziosa piccola bomba che può diventare la macchina da presa tra mani capaci. E comunque, dei riferimenti al cinema del passato ci sono, dal più recente filone pulp, ad un prodigioso duello sulla scalinata che ricorda tanto Ejzenstejn. |
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Elena SAN PIETRO |
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