LA NOBILDONNA E IL DUCA
di Eric Rohmer



Una storia semplice. Una nobildonna inglese, Grace Elliott, vive in Francia e filtra attraverso la propria appartenenza di classe gli eventi che vanno da subito dopo la rivoluzione francese al periodo del Terrore di Robespierre. In questo capovolgimento di situazioni sociali in cui i conflitti politici pre esistenti subiscono accelerazioni dagli esiti inaspettati (il Duca d'Orleans che vota per la condanna a morte del Re)la Nobildonna del titolo (italiano) del film, è il denominatore comune dei diversi personaggi secondari appartenenti alle più diverse estrazioni sociali i quali subiscono e/o favoriscono l'ineluttabilità della Storia. Adattato dallo stesso Regista dai diari di Grace Elliot "La nobildonna e il duca" (L'anglaise et le duc) è un'opera per la quale l'appellativo di "capolavoro" non sarebbe sprecato se nel mondo della critica cinematografica non venisse spesso dilapidato per le muccinate di turno. Concepito come un "tableau vivent" della durata di quasi due ore, la passione cinefila dello spettatore viene nutrita dalla straordinaria cura con cui tutti gli elementi del film sono stati trattati. Fedele al proprio motto che "Se il Cinema è un'arte, di tutte le arti è la più", Rohmer concepisce un orchestrazione dettagliata di tutti gli elementi filmici: dal commento musicale alla recitazione (sublime l'interpretazione dello sfuggente duca d'Orleans di Jean Claude Dreyfuss), dalla fotografia ai costumi e alla ricostruzione degli interni.
Un film semplice eppure complesso che testimonia come le vette più alte dell'Arte sublimino nel minimalismo come punto ultimo di un percorso autoriale denso di contraddizioni, ripensamenti e (forse) errori. Così, un'opera dall'impianto teatrale con i movimenti di macchina ridotti al minimo diventa quanto di più cinematografico possa esistere: le scenografie così smaccatamente finte sono il punto terminale ed al contempo il trionfo del fascio di luce che tagliando la sala buia si infrange contro lo schermo il quale così trova una risposta alle domande accademiche che il suo bianco pone. E nell'era degli effetti speciali fini a se stessi, La Nobildonna e il Duca è il primo esempio di film in cui gli effetti speciali, dopo diversi lustri di utilizzo così pacchianamente spielberghiano, tornano a servire non la causa del botteghino ma del Cinema con la C maiuscola.
Il film, accusato di essere filo monarchico tanto da venire escluso dalla vetrina di Cannes (il che la dice lunga su come la filosofia de "l'art pour l'art" in terra di Francia sia vera finché non si passano le colonne d'Ercole di un nazionalismo col paraocchi) è in se una rivoluzione ed al contempo una continuazione. Una rivoluzione poiché destruttura (anche se parzialmente) il mito della Rivoluzione del 1789 (con tanto di mistificazione storica annessa) ma anche una continuazione con quel Cinema Francese degli anni '20 che con Delluc rivendicava la necessità di un arte internazionale che al contempo contribuisse allo sviluppo culturale interno alla Francia.
Nella sua narrazione e nel messaggio intrinseco, l'ultima opera di Rohmer costituisce un'ideale terzo tassello di un trittico le cui due prime parti sono Tabù di Nageshi Oshima e Il Mestiere delle armi di Ermanno Olmi. Si avverte in queste opere, contrariamente alle tendenze associativistiche che per anni sono transitate attraverso i media, un'inversione di percorso: questi "grandi vecchi" del Cinema con i loro ultimi film sembrano voler rivolgere un invito al recupero di una propria individualità contrariamente all'evolversi degli eventi circostanti. E per Grace Elliot nel film di Rohmer la propria individualità va portata avanti nonostante una folla inferocita avesse innalzato su una picca la testa mozzata di una nobildonna; per Giovanni dalle Bande nere la difesa del papato è indiscutibile nonostante Francesco Gonzaga. Più complesso ed articolato il discorso per il Tenente-Kitano di Tabù che arriva alla conclusione di dover estirpare il Male, nonostante questo avesse le sembianze di un validissmo soldato. Tre film che hanno come protagonisti personaggi scomodi di fronte ai quali ogni sentimento di politcally correct decade proprio perché clichè di tutto quello che le tendenze sociali hanno bollato come negative dal dopoguerra ad oggi: la Monarchia; il Papa Re; il militarismo. Tre film coraggiosi ed al contempo impeccabili di cui è troppo facile dimenticarsi anche perché nella loro raffinatezza e perfezione formale del linguaggio cinematografico se da un lato innalzano il Cinema al rango più alto delle altre arti millenarie, dall'altro ne tradiscono la matrice di arte essenzialmente popolare. Per deduzione, bisognerebbe dunque riflettere e per una volta gridare "largo ai vecchi", ma questo è un altro discorso. Certo è che stupisce, vedendo il film di Rohmer, come ragazzotti in odore di "protezione" abbiano il coraggio di presentarsi in pubblico dicendo di essere Registi.

Voto: INESTIMABILE

Antonio VALENZI
15 - 10 - 01


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