
Una
storia semplice. Una nobildonna inglese, Grace Elliott, vive in Francia
e filtra attraverso la propria appartenenza di classe gli eventi che vanno
da subito dopo la rivoluzione francese al periodo del Terrore di Robespierre.
In questo capovolgimento di situazioni sociali in cui i conflitti politici
pre esistenti subiscono accelerazioni dagli esiti inaspettati (il Duca
d'Orleans che vota per la condanna a morte del Re)la Nobildonna del titolo
(italiano) del film, è il denominatore comune dei diversi personaggi
secondari appartenenti alle più diverse estrazioni sociali i quali
subiscono e/o favoriscono l'ineluttabilità della Storia. Adattato
dallo stesso Regista dai diari di Grace Elliot "La nobildonna e il
duca" (L'anglaise et le duc) è un'opera per la quale l'appellativo
di "capolavoro" non sarebbe sprecato se nel mondo della critica
cinematografica non venisse spesso dilapidato per le muccinate di turno.
Concepito come un "tableau vivent" della durata di quasi due
ore, la passione cinefila dello spettatore viene nutrita dalla straordinaria
cura con cui tutti gli elementi del film sono stati trattati. Fedele al
proprio motto che "Se il Cinema è un'arte, di tutte le arti
è la più", Rohmer concepisce un orchestrazione dettagliata
di tutti gli elementi filmici: dal commento musicale alla recitazione
(sublime l'interpretazione dello sfuggente duca d'Orleans di Jean Claude
Dreyfuss), dalla fotografia ai costumi e alla ricostruzione degli interni.
Un film semplice eppure complesso che testimonia come le vette più
alte dell'Arte sublimino nel minimalismo come punto ultimo di un percorso
autoriale denso di contraddizioni, ripensamenti e (forse) errori. Così,
un'opera dall'impianto teatrale con i movimenti di macchina ridotti al
minimo diventa quanto di più cinematografico possa esistere: le
scenografie così smaccatamente finte sono il punto terminale ed
al contempo il trionfo del fascio di luce che tagliando la sala buia si
infrange contro lo schermo il quale così trova una risposta alle
domande accademiche che il suo bianco pone. E nell'era degli effetti speciali
fini a se stessi, La Nobildonna e il Duca è il primo esempio di
film in cui gli effetti speciali, dopo diversi lustri di utilizzo così
pacchianamente spielberghiano, tornano a servire non la causa del botteghino
ma del Cinema con la C maiuscola.
Il film, accusato di essere filo monarchico tanto da venire escluso dalla
vetrina di Cannes (il che la dice lunga su come la filosofia de "l'art
pour l'art" in terra di Francia sia vera finché non si passano
le colonne d'Ercole di un nazionalismo col paraocchi) è in se una
rivoluzione ed al contempo una continuazione. Una rivoluzione poiché
destruttura (anche se parzialmente) il mito della Rivoluzione del 1789
(con tanto di mistificazione storica annessa) ma anche una continuazione
con quel Cinema Francese degli anni '20 che con Delluc rivendicava la
necessità di un arte internazionale che al contempo contribuisse
allo sviluppo culturale interno alla Francia.
Nella sua narrazione e nel messaggio intrinseco, l'ultima opera di Rohmer
costituisce un'ideale terzo tassello di un trittico le cui due prime parti
sono Tabù di Nageshi Oshima e Il Mestiere delle armi di Ermanno
Olmi. Si avverte in queste opere, contrariamente alle tendenze associativistiche
che per anni sono transitate attraverso i media, un'inversione di percorso:
questi "grandi vecchi" del Cinema con i loro ultimi film sembrano
voler rivolgere un invito al recupero di una propria individualità
contrariamente all'evolversi degli eventi circostanti. E per Grace Elliot
nel film di Rohmer la propria individualità va portata avanti nonostante
una folla inferocita avesse innalzato su una picca la testa mozzata di
una nobildonna; per Giovanni dalle Bande nere la difesa del papato è
indiscutibile nonostante Francesco Gonzaga. Più complesso ed articolato
il discorso per il Tenente-Kitano di Tabù che arriva alla conclusione
di dover estirpare il Male, nonostante questo avesse le sembianze di un
validissmo soldato. Tre film che hanno come protagonisti personaggi scomodi
di fronte ai quali ogni sentimento di politcally correct decade proprio
perché clichè di tutto quello che le tendenze sociali hanno
bollato come negative dal dopoguerra ad oggi: la Monarchia; il Papa Re;
il militarismo. Tre film coraggiosi ed al contempo impeccabili di cui
è troppo facile dimenticarsi anche perché nella loro raffinatezza
e perfezione formale del linguaggio cinematografico se da un lato innalzano
il Cinema al rango più alto delle altre arti millenarie, dall'altro
ne tradiscono la matrice di arte essenzialmente popolare. Per deduzione,
bisognerebbe dunque riflettere e per una volta gridare "largo ai
vecchi", ma questo è un altro discorso. Certo è che
stupisce, vedendo il film di Rohmer, come ragazzotti in odore di "protezione"
abbiano il coraggio di presentarsi in pubblico dicendo di essere Registi.
Voto: INESTIMABILE
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