NEVERLAND, ovverosia la storia di come uno dei racconti più popolari
degli ultimi due secoli - "Peter Pan" - è venuto alla luce grazie alla
penna del drammaturgo sir James Matthew Barrie. Quel che subito stupisce
è come la vicenda stessa della nascita dell’opera teatrale sembri a sua
volta architettata da uno scrittore per risultare coinvolgente; eppure -
al di là di alcune licenze poetiche che il regista Marc Forster si è
concesso - i fatti corrispondono bene o male a quelli narrati nel film:
lo scrittore e autore teatrale J.M. Barrie, reduce dal flop della sua
precedente opera e in crisi sentimentale con sua moglie Mary, trova
l’ispirazione per la sua prossima commedia nei fratelli Davies, orfani
di padre affidati alle sole cure di loro madre Emma, in palese
difficoltà nel disciplinare da sola quattro figli maschi, tenendo conto
soprattutto che non tutti loro hanno vissuto il dramma della perdita di
un genitore allo stesso modo.
Da subito la relazione di Barrie con la famiglia Davies risulta malvista
negli ambienti più in vista della Londra di fine ‘800, soprattutto per
quanto riguarda il suo rapporto con la madre dei fratellini, ma il
drammaturgo non sembra preoccuparsene e si lascia trascinare senza
resistenza nel mondo di immaginazione dei quattro bambini, aiutando anzi
uno di loro, Peter, a recuperare un rapporto sereno - perduto dopo la
morte del padre - con la propria fantasia.
Il racconto intero non è infatti altro che un inno al bisogno di
finzione che è insito nella natura umana, e ne è segno il modo in cui
rappresentazione teatrale e attività ludica si confondono nel corso del
film (pensiamo a quando i giochi di Barrie e dei bambini sono presentati
come sorta di palcoscenici teatrali o di set cinematrografici).
L’imperativo rimane comunque uno solo: credere in ciò che si sta
osservando (magari anche solo con gli occhi dell’immaginazione), e dato
che ad affermarlo è un’opera filmica, oltretutto per nulla restìa alle
divagazioni fantastiche, il discorso si colloca su di un numero di
livelli ancora maggiore. Non dimentichiamo infatti che NEVERLAND
principia proprio con l’aprirsi del palcoscenico di una rappresentazione
teatrale.
Insomma, Forster sembra aver trovato l’opera ideale per coinvolgere e
commuovere lo spettatore, per invitarlo a rimanere un po’ bambino, e
utilizza egregiamente tutti quanti gli strumenti (sia tecnici che
narrativi) a sua disposizione per strappare un applauso sicuro. Anzi, la
vicenda e l’uso dei dispositivi filmici danno alle volte l’impressione
di essere talmente votati allo scopo di far sgorgare qualche lacrima da
risultare in fondo un poco fastidiosi. Con questo appunto non voglio
comunque togliere nulla all’ineccepibilità formale del regista né
tantomeno alla bravura degli attori, in primis Johnny Depp ad
interpretare J.M. Barrie, come al solito brillante nelle parti un po’ al
di sopra delle righe. Meritevoli di menzione ovviamente anche Drew
Barrymore e Julie Christie, rispettivamente mamma e nonna dei bambini;
fra questi spicca Freddie Highmore, anche perché è suo il ruolo che più
degli altri permette di mettere in mostra le proprio doti: egli è
infatti Peter Davies, il fratellino che peggio degli altri ha reagito
alla morte del padre, e quello che stabilirà un rapporto più profondo
con J.M. Barrie, il quale gli insegnerà a essere nuovamente capace di
sognare e gli lascerà in eredità un dono prezioso: il desiderio - anzi,
la necessità - di scrivere. Simpatico infine Dustin Hoffman nel ruolo
del benevolo impresario Charles Frohman, che nonostante le fievoli
proteste asseconderà Barrie in tutte le sue stramberie.
Del film risulta particolarmente appassionante osservare come gli
elementi costitutivi della futura storia di Peter Pan comincino ad
emergere nella fertile mente di Barrie proprio durante i giochi con la
famiglia Davies: in primo luogo, il nome del protagonista è ispirato
proprio a Peter Davies (sebbene, come riconosce anche quest’ultimo alla
prima dell’opera teatrale, Peter Pan è ovviamente lo stesso Barrie);
l’idea dei bimbi sperduti nasce da un gioco di indiani; Capitan Uncino
prende forma dalla severa (ma sinceramente preoccupata per la sorte
della figlia e dei nipoti) nonna dei bimbi; l’idea del volo sorge nello
scrittore quando vede i quattro fratellini saltare sul letto. L’Isola
Che Non C’è, invece, risale addirittura a molti anni prima,
all’infanzia di J.M Barrie, ed è dolorosamente legata alla prematura
morte di suo fratello.
Sebbene NEVERLAND possa, come detto, a tratti dare l’impressione di un
film un po’ ruffiano, bisogna in conclusione ammettere che la storia di
quest’uomo pieno di fantasia e gioia di vivere, in grado di trasformare
un placido cagnone in un temibile orso ed un pezzo di legno in uno
scettro dorato, ha il suo fascino ed è -nel caso specifico- narrata con
perizia. Dopotutto, l’invito del film ad aprirsi al possibile ed al
fantastico risulta valido soprattutto oggi, di fronte alle tante
“fantasie serializzate” che ci vengono quotidianamente proposte.
Voto: 25/30
17:03:2005 |