PAUL, MICK E GLI ALTRI
di Ken Loach



Inutile domandarsi chi siano mai i navigatori del film di Loach. Brutalmente traslato in italiano con il titolo "Paul, Miki e gli altri", i protagonisti al timone di questo battello battezzato operaio sono gli innumerevoli "persi" nel processo di privatizzazione e di conseguente flessibilità della bassa manovalanza. Siamo nel Yorkshire del 1995. Di ritorno sul suolo inglese, Ken Loach firma l'ennesima ma in assoluto originale epopea di alcuni dipendenti delle Ferrovie Britanniche costretti a scegliere tra "vendere" il posto fisso di lavoro come scivolo di fine rapporto e affidarsi ad impieghi occasionali per agenzie private oppure accettare di buon grado le nuove regole della compagnia subentrata alla vecchia gestione statale. La storia ha la forma (se mai ne possiede una ) della frustrazione, della solidarietà che può sconfiggerla e della speranza che è solo frutto di una presa di coscienza individuale ma non è in alcun modo mutuabile dal finale del film, così perso nello scarto esistente tra la necessità di sopravvivenza su questa terra e la conquista del paradiso. Al crudo riverbero di temi quali la cooperazione sociale e la fine del garantismo dei diritti base dei lavoratori di mezzo fa da sponda - la concorrenza non interessa a Loach, per quanto in concorso - la trattazione di temi infantili e abbacinanti (Bully, Y tu mama tambien, Le souffle) come l'effetto di un trip lungo tutta la durata del festival. La licenza di narrazione sui vari mescoloni adolescenziali, consegnata alle penne critiche e di colore, ha permesso al pubblico ( e presto alle case di distribuzione) di gongolarsi su quanto sia importante conoscere ciò che oggi viene normalmente trasmesso via cavo come film dossier o di mezze verità. Ci viene da dire che la verità più lampante, ma non assolutista, vive nel battito proletario documentato da Ken Loach. Che se mai ci si deve preoccupare di qualcosa, esso vada individuato nella precarietà a cui la globalizzazione ha dato luogo. " The progress is the end of the union.."docet Loach, a cominciare da quello stonato universo sentimentale che il regista fa correre parallelo ai licenziamenti e alla disoccupazione. Niente di intellettuale in un film che parla di traversine, misuratori e cablaggi e per imparare ad usare i quali gli attori sono stati "invitati" a seguire un corso teorico pratico con tanto di attestato finale. Nessuna facile politologia, ma la più semplice e diretta evidenziazione delle coordinate tracciate da sistemi liberisti e capitalisti. Fuori da quello nessun lavoro, nessuna famiglia. Con la fine di ogni specializzazione, l'uomo diviene imprenditore di se stesso e da muratore (la scena è quella del film) s'improvvisa operaio di uno scalo ferroviario per sole 19 sterline al giorno, 6 ore di treno e 4 di macchina andata e ritorno. Altri umorismi, facilmente tacciati di nero e altresì ardui da far importare nel nostro spirito. Come la circolare interna da cui ha inzio il film che propone un contenimento delle vittime (le c.d morti bianche) sul lavoro...al massimo due. E se non muore nessuno da 18 mesi.., qualcuno vuole essere il volontario?!Lascio ai contentuti e al sempre rigore, alla fede certa e alla coerenza di Loach il merito e il plauso per una riuscita messa in atto e il suo felice risultato.

Voto: 30 e lode

Sandra SALVATO
03 - 09 - 01


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