Durante i giochi olimpici del ’72 a Monaco, un commando di terroristi
palestinesi noto come Settembre Nero riesce a introdursi nel villaggio
olimpico dove uccide due atleti della squadra israeliana e ne tiene in
ostaggio altri nove. Dopo inconcludenti trattative e un maldestro tentativo
di intervento delle forze armate tedesche, tutti gli ostaggi, insieme a
cinque degli attentatori e a un membro della polizia tedesca, restano uccisi
in una tragica sparatoria. Il mondo intero segue tutti i drammatici momenti
in diretta TV e sarà testimone di una serie di omicidi di sospetti
responsabili della strage di Monaco. Questi i fatti.
Basato sul controverso libro del giornalista G. Jonas "Vengeance"
(Vendetta), che ipotizza la risposta dell’Intelligence israeliana ai fatti
di Monaco, il film segue le vicende di una squadra di specialisti scelti e
sostenuti dal Mossad per rintracciare ed eliminare gli 11 ‘obiettivi’, i
nomi coinvolti nell’atto terroristico che sconvolse il mondo occidentale.
Per la sua ultima fatica registico-produttiva, Spielberg ha scelto un
thriller (fanta)politico dove mette alla prova la sua maestria nel dirigere
gli attori e la macchina da presa, in una galleria di omicidi ritmata da
momenti di vera suspense e da un misurato dosaggio di tensione emotiva
intorno ai protagonisti messi continuamente a confronto con la missione che
hanno scelto di intraprendere e con le inevitabili implicazioni morali che
ne derivano. Ma dal racconto delle azioni e dei pensieri che tormentano gli
animi dei rappresentanti di entrambe le controparti, quello che esce è un
mosaico di convinzioni, di principi e di giustificazioni che sembra non
accontentare nessuno, nel tentativo di stemperare il bianco e il nero in
mezzetinte di conclusioni vagamente indefinite. O, più semplicemente, una
conclusione più giusta dell’altra non può darsi, in questi casi. E il
continuo richiamo del doppio, dell’ambiguità e dell’indistinto è disseminato
nelle inquadrature di vetri, vetrine e specchi(etti), orchestrati dalla
splendida ma tutt’altro che splendente fotografia del fedele Kaminski, in
perfetto stile ’70 fatto di controluce e di colori desaturati.
Munich non sembra tanto voler dare un giudizio sulla questione ebraica,
quanto spingere il pubblico ad interrogarsi, sempre tenendo presente la
sofferenza e il dolore che scaturiscono da qualsiasi atto di violenza e di
morte: come la tragedia di Monaco, montata in inserti quasi reminescenze
nelle mente del protagonista, e come le uccisioni per vendetta, presagi
soltanto di nuova violenza e morte, al pari dell’immagine nebbiosa dello
skyline di New York, dove campeggiano le torri del terrore, sulla quale
scorrono i titoli di coda.
Voto: 28/30
24:01:2006 |