VENEZIA.66

 

MR. NOBODY

di Jaco Van Dormael
Francia 2009, 125'

 

In Concorso

 

30/30

Un film nel '91, uno nel '98, e poi basta. La carriera di Jaco van Dormael è stata sempre un mistero.
Ora non più. Mr. Nobody ci rivela che la carriera di Jaco van Dormael non è carente di film, ma è piena di film che non ha mai fatto.
Il 118enne Nemo Nobody, in una civiltà futura e futuristica, sta per morire. È l’ultimo mortale. Lascia allora sui nastri di un giornalista accorso ad intervistarlo un’infinità di vite possibili, in cui non è affatto chiaro quale sia “quella vera”. Una vita piena di sentieri che si biforcano e si intrecciano: Nemo che sceglie la mamma o che sceglie il papà a 9 anni dà vita a due vite parallele, ciascuna di essa si ramifica e così via. Tutte consistono nel medesimo spazio, in una medesima potenzialità, il cui passaggio all’atto non è “realizzazione” di una vita anziché di un’altra, ma espressione qui ed ora della potenzialità pura.
Qui sta la grandezza del film. Non negli arzigogoli di sceneggiatura (che son buoni tutti), ma nel capire come il racconto non vada espanso baroccamente, ma piuttosto perennemente bloccato. La potenzialità non si realizza in atto, ma trova un volto (è proprio il caso di dirlo) nell’infinito profluvio di sguardi in macchina che bloccano la narrazione, il racconto lineare, e rispediscono al mittente lo sguardo dello spettatore. L’istante è la crisalide di se stesso, che invece di diventare farfalla muta subito dopo in un’altra crisalide – uno sguardo in macchina che non fa avanzare il racconto, ma spiana la strada a un altro sguardo in macchina. Se tutto il racconto viene diligentemente identificato (è Nemo stesso che lo dice) come il momento in cui l’universo, finalmente alla fine dell’espansione entropica illimitata del big bang, comincia a rapprendersi e a richiudersi in un’unica massa. Un unico sguardo in macchina che racchiude tutti i percorsi possibili, e dopo del quale può esserci non un passo successivo ma un nuovo sguardo in macchina.

Se l’universo si rapprende non significa che il futuro indietreggia al presente e da qui al passato. Cioè: volendo è anche questo (il film finisce così infatti), ma Van Dormael è bravo a capire che è soprattutto questione dello sguardo dello spettatore, che è l’unico che poi delimita davvero il terreno del “qui” e dell’”ora”, ed è lui a ritornare immediatamente indietro. Non la linea del tempo a ritroso, ma lo sguardo che istantaneamente, in un unico fulmineo attimo, fa avanti-indietro. Il racconto, con le sue progressioni, si intirizzisce e blocca, anche se l’affabulazione delle immagini è irresistibilmente appassionata e senza una sola caduta di ritmo. Uno “strabismo” miracoloso reso possibile proprio dal riproporsi della fissità ghiacciata dell’istante, che sostituisce e scalza la narrazione dal suo primato.
Per questo la prima inquadratura è lo sguardo in macchina di Nemo (uno dei Nemo possibili) morto. E per questo l’amore, l’unico vero tra i tanti amori delle tante vite di Nemo, è quello che fa contrarre tutte le vite possibili in un unico istante, in modo uguale ma diversissimo dalla morte che a ogni istante si ripropone guardandoci in faccia.
 

12:09:2009

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Venezia, 02/12 settembre 2009