the moth diaries

di Mary Harron

con Sarah Bolger, Sarah Gadon

e con Lily Cole, Scott Speedman

  di Gabriele FRANCIONI

 

23/30

 

“I simply am not there”

 

Allo scoccare del nuovo decennio, la dichiarazione nichilista di Bret Easton Ellis, che risuonava lugubre in AMERICAN PSYCHO e successivamente diventava  titolo di un film, sembra il motto perfetto dell’ennesima  generazione “X”, quella di TWILIGHT, ma anche l’implicita confessione della regista. Harron ha esaurito il credito concessole a più riprese negli ultimi 15 anni e ora, molto semplicemente, latita. La cadenza quinquennale dei suoi lavori, poi, fa pensare a un tranquillo barcamenarsi tra televisione e presunta autorialità cinematografica, senza desiderio alcuno di cavalcare i generi e provare a reinventarli.

THE MOTH DIARIES diluisce CARRIE nel liquido insapore di un’esangue estetica da college movies, aggiungendovi inutili stille di pensiero debole (la citata saga adolescenziale dei vampiri-emo), ricavandone, alla fine, una confezione stilosamente vuota, che attraversa l’horror come se, invece di uno spazio drammaturgico codificato, teso ed ematico, fosse la camera iperbarica in cui rigenerarsi per produrre terse geometrie filmiche e rigide traiettorie narrative.

In ambito collegial-orrorifico, il testimone raccolto qualche anno dopo AMERICAN PSYCHO dalla studentessa universitaria Lily Taylor nel film di A. Ferrara , THE ADDICTION, poi passato per le mani di Lindsay Lohan nel collegialissimo JAWBREAKER (vampirismo comportamentale), quindi congelato tra il corpo di Megan JENNIFER Fox e il deliquio di TWILIGHT, riappare ora nelle mani di un gruppo di studentesse annegate nella virtualità esistenziale della facebook-era, ma non aggiunge nulla di nuovo al mix di codici.

Vaghi sentori saffici occupano ampie porzioni del racconto, tenendo il rosso del sangue premurosamente fuori campo, mentre vanno in scena dinamiche relazionali che mutano l’equilibrio della coppia di amiche una volta che una nuova arrivata al college, Ernessa (…), stabilisce una stretta linea di comunicazione con la sola Lucy, lasciando Rebecca, la protagonista e narratrice diaristica, ad osservare e registrare il rosario di morti inspiegate, mentre Lily “Carrie” Cole diventa rapidamente il fulcro visivo del film.

 Mary Harron, dotata di una spiccata sensibilità per la ghiacciaia dei sentimenti e l’orrore estetizzante e chic, è lontana anni luce dalla grinta politica romeriana nella sua declinazione zombiesca. Tanto i film “Of the Dead” sono sporchi e cattivi, quanto le pellicole della Harron sono immacolati ambienti visivi destinati a un arredo emotivo ridotto al grado zero. Suscitano la medesima empatia generata dal guardare  Andy Warhol mentre dipinge con un Amiga il viso di Debbie Harry su youtube, ma non trasmettono la disperazione di Eric Emerson e Ondine in CHELSEA GIRLS, rimanendo a metà strada tra l’atto di rappresentare e l’oggetto rappresentato.

I SHOT ANDY WARHOL era –quello sì- un film di vampiri, anzi, sul più grande vampiro della storia dell’arte contemporanea, di cui metteva in rappresentazione la fase diurna e relazionale.

Warhol era il buco nero entro cui inconsapevolmente cadevano i componenti della sua corte esanime .  Edie Sedgwick non avrebbe sfigurato in THE MOTH DIARIES e anche Warhol, vampiro e buco nero, semplicemente  was not there, come Mary Harron.

 

09:09:2011