15, 16, 17 Agosto 1969. In quei 3 giorni di pace e musica
accadono molte cose e l’imprevisto sembra dominare. Le autorità locali
ritengono la cittadina di Woodstock inadeguata al “Music&Art Fair” così
mezzo milione di persone, inaspettate, raggiunge la nuova meta e White Lake,
presso Bethel, si trasforma nel centro dell’universo.
è qui che vive
Elliot (Demetri Martin), giovane dalla grande intuizione, presidente della
minuscola camera di commercio del villaggio, che sa cogliere al volo
un’incredibile occasione. Una telefonata a Michael Lang (Jonathan Groff),
l’organizzatore del concerto passato alla storia come un evento
generazionale, e inizia l’avventura.
Grazie all’intraprendenza di Elliot lo sgangherato “El Monaco”, il motel dei
genitori Jake e Sonia Teichberg (Henry Goodman e Imelda Staunton), diventa
il quartier generale del più grande festival di musica mai esistito.
è dalla sua autobiografia,
“Taking Woodstock”, che parte il trip.
Il produttore James Schamus adatta la sceneggiatura e il premio Oscar Ang
Lee firma un altro successo. Non è la cronaca di ciò che fu Woodstock, a
questo pensò già Michael Waldeigh nel 1970 con 3 ore di magistrale
documentario. Lee ci offre invece, attraverso la passione per il dettaglio,
la consulenza storico-artistica di David Silver e un cast straordinario
dalla comicità geniale, uno spaccato di quell’evento memorabile, un strato
personale e intimo abilmente inserito in un contesto sociale dalla portata
enorme. Il conflitto vissuto da Elliot è il disagio di un’intera generazione
che sente le storture del mondo, il suo desiderio di emancipazione
rispecchia il bisogno profondo di migliaia di giovani, non necessariamente
figli dei fiori, di affrancarsi da maglie culturali troppo strette.
Nessuna patina, nessuna levigatezza. Il messaggio è chiaro sin dalle prime
scene: Jake e Sonia ricordano bene cosa significa essere immigrati, russi ed
ebrei; Billy (Emile Hirsch) è un giovanissimo reduce del Vietnam; Vilma
(Liev Schreiber) è il travestito ex-marine nominato responsabile della
sicurezza del motel. Ognuno di loro ha il proprio carico di memorie
dolorose, ognuno di loro sceglie di affrontarle come può e vivere la propria
evoluzione. Se la prospettiva individuale esclude l’universo, per dirla come
gli hippies, qui le tante linee tracciate sono talmente ben raccordate da
convergere verso un punto di fuga comune che canta la volontà di poter
cambiare il mondo, dentro e fuori sé stessi.
“Freedom” accompagna i titoli di coda ed è un finale dalle vibrazioni tutte
positive visto che la voce rauca e incantevole di Richie Havens aprì
Woodstock in quell’estate unica del ’69.
18:10:2009
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