
Pare proprio che il detective criminologo Alex Cross (Freeman) - lo stesso
de IL COLLEZIONISTA - non possa starsene tranquillo a costruire modellini
di barchette da infilare nella bottiglia. Ancora provato per la scomparsa
di una collega durante una missione da lui diretta - e codazzo di immancabili
sensi di colpa - a ridestarlo dal precoce prepensionamento che si è autoimposto
ci pensa questa volta il megalomane Gary Soneji, enigmatico professore
di informatica che ha rapito una sua allieva - giovane figlia di un senatore
- e che lancia al detective una sfida dal cui esito dipenderanno le sorti
della piccola. Ad aiutarlo nell'impresa la bella Jazzie Flannigan (Potter),
un agente dell'FBI che ha avuto modo di conoscere bene Soneji in passato
e per questo forse in grado di districare la ragnatela tessuta dal malefico
professore. Tratto come il precedente dal romanzo di James Patterson
questo risaputo e poco convinto film del neozelandese Lee Tamahori
- come è lontano ONCE WERE WARRIORS... - vale se non altro come
pretesto per una riflessione su un genere - il thriller investigativo
- che sembra essere ormai arrivato al dessert, schiacciato tra le convenzioni,
povero di idee e destinato, ancora non si sa per quanto, a vivere di rendita
sulle vecchie glorie. Del resto quello che vede come nucleo centrale lo
scontro tra detective fin troppo umani - sensibili, molto spesso alle
prese con conflitti interiori - da una parte e super menti criminali -
capaci di ogni efferatezza, molto spesso spinti da motivazioni psicologiche
oscure - dall'altra è un genere che soprattutto negli anni novanta ha
saputo codificarsi, costruirsi una tradizione e una reputazione, e farsi
portavoce delle nuove paure sociali se si pensa che il genere ha praticamente
scalzato con i suoi "mostri" di carne ed ossa - l'Hannibal del SILENZIO
DEGLI INNOCENTI o il demoniaco Spacey di SEVEN per fare due esempi noti
- il classico e praticamente estinto horror popolato da entità ultraterrene.
Un genere che anche dal punto di vista stilistico ha saputo elevare il
linguaggio cinematografico soprattutto sul versante della dialettica tra
film e spettatore, basta pensare a come le pellicole citate giocano sul
meccanismo della visione e della percezione, su come lo spettatore viene
guidato nella comprensione oppure depistato volutamente attraverso gli
"indizi" che lo stesso protagonista si trova davanti, operando principalmente
sulla dicotomia "in campo-fuori campo", ma anche sull'ambiguità dell'immagine
e della sua interpretazione - tra ciò che è e ciò che appare ai nostri
occhi - e che nei casi più fortunati ha saputo assumere i connotati della
vera e propria sfida nei confronti di chi guarda. Come tutti i filoni
anche questo, dopo aver prodotto i suoi capolavori e i suoi bei cloni,
sta completando il suo ciclo di vita: da questo punto di vista NELLA MORSA
DEL RAGNO sembra appartenere alla categoria delle svendite di fine
stagione. Dopo una partenza dignitosa - notevole la scena dell'incidente
automobilistico - procede con ritmo altalenante sul cliché della classica
coppia investigativa - lui maturo con tante cose da insegnare, lei giovane
con tante cose da imparare - poi comincia a perdere letteralmente pezzi
per strada: per fare solo un esempio che non sveli troppo, non solo i
sensi di colpa di iniziali di Cross svaniscono letteralmente nel nulla,
ma lui si impegna addirittura a risolvere quelli di Jazzie con una
fastidiosa serie di frasi ad effetto in stile soap opera americana...E
il tutto si conclude in un modo molto pigro dopo la solita serie di sottofinali
in cui si sprecano - nel vero senso della parola - i colpi di scena. Se
al quadretto appena abbozzato aggiungiamo il fatto che nel delicato ruolo
di Jazzie Flannigan Monica Potter si fa segnalare come una delle attrici
più inespressive viste di recente il flop è servito. In conclusione, delle
tante questioni irrisolte che ci lascia in eredità questo squinternato
film, una in particolare ci sta a cuore: riuscirà l'ancora convincente
Morgan Freeman a scrollarsi di dosso il logoro personaggio di cacciatore
di psicopatici e dimostrare altrove il suo valore?
Voto: 15/30
|