MI CHIAMANO RADIO
di Mike Tollin
Con: Cuba Gooding Jr., Ed Harris

E con: Debra Winger, Alfre Woodward

di Emilio RANZATO


Da una storia vera. Fine anni settanta; James (Gooding Jr.), chiamato da tutti Radio per la sua passione per le radioline d’epoca, è un ragazzo “un po’ più lento degli altri” che conduce una vita solitaria in una piccola provincia americana. Quando Harold Jones (Harris), insegnante alla scuola superiore della cittadina e allenatore della popolarissima squadra di football dell’istituto, lo avvicinerà e se lo farà amico, Radio avrà modo di uscire dalla sua condizione di emarginato e diverrà la mascotte della squadra. Alcuni membri della comunità, però, faranno fatica ad accettare la sua diversità.
Ennesima storia edificante di stampo hollywoodiano sul rapporto con il diverso, questo di Tollin (al suo esordio in Italia) è un film che non brilla per originalità e che può far arricciare il naso a più di uno spettatore in quanto tipico esempio di come gli statunitensi si ostinino a vendere sottobanco il proprio modello di società attraverso il cinema. Ma se i cugini d’oltre oceano sono praticamente gli unici a produrre pellicole a sfondo didattico per famiglie, allora non ha senso lamentarsi per il fatto di dover assistere ancora una volta alla compagine sportiva della high school, alle ragazze pon-pon, al negozio del barbiere in cui confluiscono uomini in divisa da boscaiolo con le bottiglie di birra in mano e ad altri souvenir del genere. Se in Italia si distribuissero soltanto prodotti nostrani, cosa faremmo vedere a figli e nipotini? NATALE IN INDIA?
Al di là di queste constatazioni, comunque, MI CHIAMANO RADIO rimane un prodotto confezionato con cura in cui i vari elementi, ancorché triti, sono assemblati in modo semplice ma efficace, e i momenti di umorismo o commozione sono ben distribuiti e spesso riusciti, soprattutto grazie alla prova di un Ed Harris che esegue il proprio compito con grande professionalità e un Gooding Jr. perfettamente nella parte e molto più convincente di quando vinse l’Oscar per JERRY MAGUIRE. L’inevitabile manicheismo con cui vengono delineati i personaggi stavolta è sin troppo smaccato, ma il target e la finalità del film giustificano questa scelta.
E se durante i titoli di coda ci ritroveremo a sorridere nel vedere il vero Radio, oggi cinquantenne, alla guida della squadra scolastica al posto del vecchio amico Harold, allora ci accorgeremo di esserci affezionati alla storia della sua vita, e ci renderemo conto ancora una volta che racconti come questo non passeranno mai di moda.
Ventenni e america-fobici astengansi.
 

Voto: 23/30

14.05.2004

 


::: altre recensioni :::