
Da una storia vera. Fine anni settanta; James (Gooding Jr.), chiamato da
tutti Radio per la sua passione per le radioline d’epoca, è un ragazzo “un
po’ più lento degli altri” che conduce una vita solitaria in una piccola
provincia americana. Quando Harold Jones (Harris), insegnante alla scuola
superiore della cittadina e allenatore della popolarissima squadra di
football dell’istituto, lo avvicinerà e se lo farà amico, Radio avrà modo di
uscire dalla sua condizione di emarginato e diverrà la mascotte della
squadra. Alcuni membri della comunità, però, faranno fatica ad accettare la
sua diversità.
Ennesima storia edificante di stampo hollywoodiano sul rapporto con il
diverso, questo di Tollin (al suo esordio in Italia) è un film che non
brilla per originalità e che può far arricciare il naso a più di uno
spettatore in quanto tipico esempio di come gli statunitensi si ostinino a
vendere sottobanco il proprio modello di società attraverso il cinema. Ma se
i cugini d’oltre oceano sono praticamente gli unici a produrre pellicole a
sfondo didattico per famiglie, allora non ha senso lamentarsi per il fatto
di dover assistere ancora una volta alla compagine sportiva della high
school, alle ragazze pon-pon, al negozio del barbiere in cui confluiscono
uomini in divisa da boscaiolo con le bottiglie di birra in mano e ad altri
souvenir del genere. Se in Italia si distribuissero soltanto prodotti
nostrani, cosa faremmo vedere a figli e nipotini? NATALE IN INDIA?
Al di là di queste constatazioni, comunque, MI CHIAMANO RADIO rimane un
prodotto confezionato con cura in cui i vari elementi, ancorché triti, sono
assemblati in modo semplice ma efficace, e i momenti di umorismo o
commozione sono ben distribuiti e spesso riusciti, soprattutto grazie alla
prova di un Ed Harris che esegue il proprio compito con grande
professionalità e un Gooding Jr. perfettamente nella parte e molto più
convincente di quando vinse l’Oscar per JERRY MAGUIRE. L’inevitabile
manicheismo con cui vengono delineati i personaggi stavolta è sin troppo
smaccato, ma il target e la finalità del film giustificano questa scelta.
E se durante i titoli di coda ci ritroveremo a sorridere nel vedere il vero
Radio, oggi cinquantenne, alla guida della squadra scolastica al posto del
vecchio amico Harold, allora ci accorgeremo di esserci affezionati alla
storia della sua vita, e ci renderemo conto ancora una volta che racconti
come questo non passeranno mai di moda.
Ventenni e america-fobici astengansi.
Voto: 23/30
14.05.2004
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