METROPOLIS
di Rintaro



Metropolis è una gigantesca e multistratificata città-stato abitata da diverse classi sociali di uomini; il compito degli umani è di ordinare e comandare schiere di androidi schiavi che si occupano di tutti i lavori. A capo di questa enorme città c'è il temibile Duca Red, personaggio assetato di potere che vuole controllare il pianeta imprigionando e sfruttando l'energia del cosmo. Ma ad ostacolare i suoi piani sono il detective Shunsaku Ban ed il suo giovane aiutante Ken-ichi. La loro missione è di arrestare il folle scienziato Dr. Laughton, intento a perfezionare e terminare un' invenzione voluta dal Duca Red: Tima, una piccola androide la cui potenza verrà sfruttata per la conquista del mondo. L'attesissimo film d'animazione di Rintaro esce con più di un anno di ritardo (aveva debuttato al festival di Locarno del 2001) ed in una stagione notoriamente anticinematografia. Costato 5 anni di lavoro e 12 milioni di dollari METROPOLIS si ispira al manga del maestro Osamu Tezuka (Black Jack, La Principessa Zaffiro, La Fenice) ed è stato sceneggiato per lo schermo da Katsushiro Otomo (Akira). Molti echi porta con sé METROPOLIS (a partire dal titolo, diretto riferimento al capolavoro di Lang) e di molti generi filmici si nutre. D'altra parte la contaminazione e la fusione di stili è uno dei tratti caratterizzanti del cinema contemporaneo, e non soltanto americano. Nella vicenda c'è spazio per una detective-story fantascientifica, per ambientazioni e classi sociali chiaramente simboliche, per personaggi che si interrogano sulla loro vera natura (di androidi o umani) e quindi c'è BLADE RUNNER, A.I., Lang, Cameron, soltanto per citare alcuni titoli e nomi di immediato riferimento. Ma la pellicola di Rintaro va oltre il semplice gioco (sempre più di moda) della citazione e delle scatole cinesi. METROPOLIS vive di immagini, di sequenze stra-ordinarie, di un immaginario cinematografico splendente e originale che ci fa dimenticare una sceneggiatura a volte leziosa o forzatamente retorica. Basterebbero la travolgente sequenza d'apertura o la scena dell'incendio della fabbrica (da antologia) per afferrare la ricchezza visiva dalla quale sono alimentati gli autori del film. Inquietante ed affascinante è inoltre l'alternanza di sequenze più lineari (dialoghi banali, situazioni quasi infantili) e di dettagli apertamente violenti ed onirici. Rock, il ragazzo glaciale e spietato al servizio del Duca Red, si fa largo a colpi di pistola eliminando dalla scena ed in pochi istanti personaggi con un ipotizzato futuro; la neve cade inaspettatamente ad illuminare una rivolta fallita e manipolata, mentre la tormentata ed indifesa Tima si erge nella sua solitudine al suono di St. James Infirmary. Questa ambiguità narrativa e immaginifica vive proprio nel destino di Tima, dapprima presenza angelica, poi macchina di distruzione nutrita dal proprio sentimento di non appartenenza, di creatura senza umanità e quindi dannata. Tralasciando i riferimenti letterari ed i significativi rapporti che legano tra loro alcuni personaggi, si rimane catturati da METROPOLIS proprio dall'idea di cinema che trasmette, affatto accomodante e "facile" da leggere (anche se i canoni di certe superproduzioni vengono comunque rispettate): per seguire le immagini l'occhio deve essere ipersensibile, attento, e la mente svincolarsi da qualsiasi realtà e sicurezza. Scommessa che spessissimo i film non giocano. Magnetiche sono anche le musiche originali, scritte da Honda Toshiyuki, a metà tra il jazz più swingato e trascinante, e squarci di ironiche e deliranti sonorità elettroniche.

Voto: 26/30

Paolo FAZZINI
18 - 06 - 02


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