
Antonio e Alice si sposano. Neanche ventiquattr'ore dopo dal fatidico
sì, Alice abbandona Antonio per cercare il suo vero Io, affidandosi
alle cure new age di un sedicente santone. Il neosposo la segue e vive
così un'esperienza 'fusion' che gli farà ritrovare il vero
amore. L'attualità e la semplicità della storia (peraltro
tratta da un fatto di cronaca) avrebbero avuto delle potenzialità
comiche abbastanza vive che, messe in mano ad Albanese, potevano regalarci
una gradevole commedia di costume. Ma il film, ci dispiace dirlo, non
funziona. Semplicemente perché non fa ridere. Il difetto maggiore
della pellicola risiede senza dubbio nella sceneggiatura firmata dallo
stesso Albanese, da Vincenzo Cerami (è suo il soggetto) e Michele
Serra, e che dirotta su binari incerti lo stesso protagonista. "Con
Michele abbiamo scritto Giù al nord", afferma Albanese in
un'intervista (intervista di Alessandro De Simone, 35 MM.IT magazine),
"e volevo avere nel film i suoi fantastici dialoghi. Poi Michele,
come Vincenzo del resto, è un giornalista, quindi chi meglio di
loro poteva scrivere una storia che parla dei problemi del nostro tempo?"
Ma le intenzioni non bastano a creare un film e ci stupisce che proprio
l'attore (che consideriamo uno dei più capaci e sensibili in circolazione)
non si sia accorto che le stava tradendo. Non convince l'intreccio (talmente
abbozzato e prevedibile da rasentare la noia), non convincono le gag (tutte
straviste, si sorride solo quando Antonio dice qualche parolaccia) e,
ciò che più ci rammarica, non convince Albanese (che ci
regala soltanto una manciata di secondi nei quali intravediamo un attore).
Dal genere della commedia, ormai da anni, non ci aspettiamo più
quella ricerca visiva e formale che dovrebbe caratterizzare un'opera filmica
(uniche eccezioni: Antonio Rezza e, per certi versi, Francesco Nuti),
ma rimaniamo costantemente delusi dagli sceneggiatori che, si sa, sono
i principali artefici della vena comica (chiedere a Bernardino Zapponi,
Leo Benvenuti o anche a Sandro Continenza). Causa di tali mancanze potrebbe
essere dovuta al fatto che, negli ultimi decenni, in Italia abbiamo assistito
ad un vero genocidio dei generi cinematografici, e quindi alla scomparsa
di numerosi professionisti formatisi proprio sullo studio concreto dei
meccanismi che fanno funzionare bene un copione. Quella degli scrittori
è una ferita aperta nel cinema italiano (ora quasi tutti i registi
sono anche soggettisti e sceneggiatori, quindi autori) ed a farne le spese
sono gli attori. Si veda, per esempio, VESNA VA VELOCE e LA LINGUA DEL
SANTO entrambi diretti da Mazzacurati ed entrambi interpretati da Albanese.
Film, più che irrisolti, incompleti, con piacevoli trovate e deludenti
finali. Antonio Albanese ha dimostrato di saper e voler fare molto, ma
rimane incagliato in progetti che ci fanno soltanto lontanamente intuire
le sue capacità, e ciò che più è grave, è
che succede anche quando gioca sul campo della comicità (cinematografica),
terreno che più di altri gli dovrebbe appartenere. Ma IL NOSTRO
MATRIMONIO È IN CRISI fallisce anche quando tenta di affrontare
quelle quotidiane nevrosi (new age, fusion, ricerca dell'Io) ormai sintomi
della vita moderna, argomenti che sfiora ma che non sviluppa affatto.
Come commedia di costume (senza scomodare Risi) ci sembrava meglio riuscita
una pellicola come 7 CHILI IN 7 GIORNI, nella quale Pozzetto e Verdone
si adoperavano, semiclandestinamente, per far dimagrire gli sventurati
accorsi alla loro Villa Serena. Dopo il film di Albanese, presi da un
po' d'orgoglio misto a rabbia, il perverso desiderio di rifugiarci da
quei due improbabili dietisti colpisce anche noi e, soprattutto, avremmo
voglia di unirci alla tavolata presente nel finale, quella imbandita nel
ristorante "Dai due porconi".
Voto: 16/30
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