CONFERENZA STAMPA WOODY ALLEN

 

in occasione dell'anteprima di MATCH POINT

 

di Mauro RESMINI

Woody Allen si presenta in ritardo di una buona mezz’ora alla conferenza stampa organizzata al cinema Odeon di Milano per la presentazione del suo ultimo lavoro, MATCH POINT, del quale il regista si è detto molto soddisfatto.
Nei quaranta minuti concessi ai giornalisti dalla distribuzione italiana Allen ha risposto a domande sul tennis, sul tema della fortuna, sulle scelte musicali, sul rapporto tra amore e morte, sulla psicanalisi e sull’esperienza – per lui del tutto inedita – di un film interamente girato lontano dalla su New York.
 

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Giocavo a tennis ma ho smesso. Durante la mia vita ho avuto modo di conoscere molti tennisti e alcuni grandi campioni. A New York il tennis è uno sport molto popolare, che è diventato di moda quando si diffuse l’abitudine di fare esercizio fisico per mantenersi in forma. Agli inizi, comunque, il tennis veniva praticato esclusivamente dai ceti più alti della società, a causa degli elevati costi da sostenere per praticarlo.

Volevo fare un film sull’importanza della fortuna nella vita, dato che io credo la sorte giochi un ruolo davvero fondamentale nella vita di un essere umano. Noi abbiamo un po’ di controllo su ciò che ci accade, ma non si tratta di un controllo totale. Il tennis mi sembrava una buona metafora per esemplificare il fatto che spesso è più importante avere fortuna che essere bravi (qui Allen usa il termine “good”, che vuol dire sia “bravo” nel senso di “abile”, sia “buono” in senso morale. L’ambiguità appare del tutto voluta…NdR).

Nel film doveva essere udibile il rumore delle registrazioni nella colonna sonora: non ho usato cd perché volevo ricreare un certo sentimento di nostalgia… Questa scelta ben si adattava all’ambiente che ho descritto, e i protagonisti sono mecenati dell’opera, per cui ho optato per una produzione meno convenzionale, meno patinata.

Tra i grandi cantanti d’opera ho molto amato Caruso per la sua voce dolce, e anche Jesse Norman. Credo che l’opera di maggiore impatto sul pubblico sia il Rigoletto di Giuseppe Verdi, ma personalmente preferisco Donizetti e Mascagni, in particolare la Lucia di Lammermoor e Cavalleria rusticana.

Una persona deve necessariamente essere fortunata nelle relazioni umane: per dare vita ad un buon rapporto tutte le parti devono incastrarsi tra loro; se anche solo qualcosa non funziona, tutto diventa difficile. è necessaria una certa sintonia tra le parti: è in questo senso che va interpretata la frase del film (“il matrimonio è un intreccio di nevrosi”, NdR), cioè una giusta mescolanza dei propri impulsi nevrotici. Faccio un esempio: se a uno piace farsi frustare, e a una piace frustare, allora sono fortunati, perché si sono trovati. E la fortuna di questo incontro vale più di cento incontri di psicanalisi.

Io ho avuto tutta la fortuna che si può desiderare, sia sul lavoro sia con la salute. Quando ho cominciato a girare, i critici hanno deciso di enfatizzare ciò che di buono c’era nei miei film, tralasciando i particolari negativi, le cose spaventose e terribili che erano presenti nei miei primi lavori. Devo dire che, per quanto mi riguarda, quando la palla rimbalzava sulla rete poi è sempre andata dall’altra parte.

Il protagonista maschile di MATCH POINT ha certamente del talento, ma viene comunque salvato da un colpo di fortuna, e cioè dall’anello che non cade nel Tamigi. Pur con tutta l’abilità del mondo, serve la buona sorte per salvarsi.
Il personaggio di Rhys Meyers compie un gesto moralmente orribile, ma voi spettatori tendete in qualche modo ad identificarvi con lui. Diventate sempre più coinvolti, molto più di quanto non dovreste. Non arrivate certo a tifare per lui, ma vi avvicinate alle sue sensazioni e decisioni. E’ certo merito dell’attore, magnetico e attraente.

Ho incontrato Scarlett Johansson per caso. è un’attrice meravigliosa, bella, sexy, molto intelligente e sofisticata; lavorando con lei ho anche scoperto che è molto divertente, piaceva a tutti nello staff. Girerò con lei anche il mio prossimo film, SCOOP, una commedia ambientata di nuovo a Londra.

Ho due bambini di 7 e 6 anni, e il Natale ora mi piace di più. Ma per anni ho pensato che mi sarebbe piaciuto iniziare a dormire il 24 e svegliarmi il 26 dicembre! Anzi no, di più, perché c’è vicino anche il mio compleanno…

Passiamo la vita a tentare di mediare tra amore e morte; la consapevolezza del fatto che non siamo infiniti permea e influenza tutta la nostra vita e le nostre scelte, è un’ombra che ci segue ovunque. La speranza è che il vero amore riesca a superare la morte, ma non credo che questo accada. L’amore rimane la principale distrazione che abbiamo per non pensare alla morte. Quando incontriamo qualcuno lo seduciamo, ci innamoriamo e immaginiamo una vita insieme; poi arrivano i problemi, certo, ma non sono di vita o di morte, per cui ci affanniamo per risolverli e non pensiamo alla morte.

Sono entrato in analisi per capire i miei sogni: ai tempi la psicanalisi aveva la pretesa di spiegare tutto attraverso l’inconscio e i sogni, e l’entusiasmo generale per questa disciplina era smisurato. Ora non ci credo più, e non prendo più nota dei miei sogni quando mi sveglio.

Ho fatto pochi film seri, cioè non da ridere, e questo credo che sia il migliore. Per me è stato molto bello poter lavorare a Londra: negli Stati Uniti i registi sono sottoposti a tutta una serie di vincoli, tra cui quello di far leggere la sceneggiatura al produttore che la deve approvare; a Londra invece ho lavorato come piace a me, e mi hanno addirittura offerto altre due coproduzioni in Inghilterra (una è SCOOP, già in lavorazione), e anche altri Paesi hanno fatto lo stesso.
Per me è un sogno che si fa realtà: quando ho cominciato, io amavo il cinema estero. Per ovvi motivi non potevo essere un cineasta “estero”, ma ora ho la possibilità di avvicinarmi alla sensibilità cinematografica europea.