MA MÈRE
di Christophe Honoré
Con: Isabelle Huppert, Louis Garrel

di Luca GIAMPIERI


Neanche Lou Reed, poeta della strada per eccellenza e anima inquieta del rock, si era spinto con tale crudezza oltre il limite della “normale” decenza nel raccontare la sua “passeggiata nella zona del vizio” (ndr Walk on the wild side). Già…perché in poco più di un’ora e mezza il regista Christophe Honoré ci regala uno spaccato di una ruvidità inaudita, persino brutale in certi momenti, sugli angoli più estremi e oscuri delle relazioni sentimentali, sullo strapiombo maledetto dell’animo umano. Uno strapiombo di fronte al quale ci copriamo gli occhi fingendo di ignorarne l’esistenza, cercando di nasconderlo per dimenticarlo, rifiutando di sporgerci per non sentirci minacciati. Uno strapiombo che Honoré ci sbatte in faccia senza troppi complimenti o giri di parole, con una vena di sadismo spesso eccessiva e gratuita.
Pierre (Louis Garrel), diciassettenne goffo e introverso, sviluppa un amore morboso nei confronti della madre Helene (Isabelle Huppert), all’interno di un rapporto edipico che in seguito alla morte del padre si fa ancora più intenso e torbido. Incapace di sopportare l’amore platonico che il giovane Pierre riflette su di lei, Helene si apre svelando la sua vera essenza agli occhi del figlio, chiedendogli di amarla per ciò che è realmente e di imparare ad amare come lei. Di essere come lei. Quasi a ricercare in lui quell’immortalità che la ossessiona. Comincia così l’iniziazione sessuale del ragazzo, che si perde gradualmente in una discesa senza freni verso un erotismo sempre più al limite.
Sguardo tenebroso e aria maledetta, Louis Garrel, vero protagonista di questa pellicola, premia la fiducia di Bertolucci confermando il talento già espresso in THE DREAMERS. Un talento che a quanto pare è impresso a fuoco nel dna di famiglia: padre, madre, nonno…tutti interpreti del grande schermo. Nonostante i pochi dialoghi a disposizione, Garrel si cala nel personaggio con una padronanza insolita per un attore al suo terzo film, rivelandosi indubbiamente uno dei nuovi enfant prodige della cinematografia mondiale. Cercato con insistenza dalla cinepresa, regge con estrema naturalezza e fascino i primissimi piani di Honoré, offuscando quasi la Huppert. C’è da sperare soltanto che nella prossima pellicola non ci venga proposto nuovamente sotto forma di angelo tormentato, cultore incallito della masturbazione.
Tratto dal romanzo di Georges Bataille, MA MÈRE è un film d’impatto, volutamente costruito per aggredire lo spettatore e spogliarlo di ogni difesa, per denudarlo di ogni morale o preconcetto. Ed è ciò che avviene all’improvviso dopo la prima parte, un colpo basso che lascia disorientati, in cerca di una stabilità emotiva repentinamente inghiottita da quello che sembra essere un elogio delirante del vizio sfrenato, della promiscuità, della lussuria e dell’incesto. Nudo e impacciato proprio come Pierre…così è il nostro sguardo allo scorrere violento dei fotogrammi mentre seguiamo l’evolversi del racconto. Abbandonati al gioco perverso di Helen, non possiamo che restare immobili e vulnerabili di fronte allo schermo.
Un attacco che non riusciamo a contrastare: ecco il vero punto di forza di Honoré, ciò che impreziosisce questo film. Troppo semplice stroncarlo tacciandolo di follia o insensato esibizionismo. Lontano dall'essere privo di spunti concettualmente interessanti, MA MÈRE racconta la vita di uomini dimenticati da Dio, cacciati dal paradiso terrestre del lecito e del consentito, e che di ciò godono superbi, senza timori né limitazioni etiche, nell'infinita lotta fra "Es" e "Super-Io". Un film che toccato il fondo non esita a scavare ulteriormente, allontanandosi in maniera tanto spasmodica dal divino da arrivare a sfiorarlo. E’ forse questa ricerca, a tratti troppo grezza e sproporzionata, a lasciare il lavoro di Honoré fluttuante nel purgatorio del cinema, rendendolo facile preda della critica più bacchettona.
Geniale la scelta del brano “Happy together” nel finale, ad accompagnare il distacco definitivo fra Pierre e la madre. Distacco che attraverso i toni di speranza e le liriche azzeccatissime della canzone segna con cinica ironia lo spiraglio di luce. La liberazione.
 

Voto: 25/30

03.07.2004

 


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