
Neanche Lou Reed, poeta della strada per eccellenza e anima inquieta del
rock, si era spinto con tale crudezza oltre il limite della “normale”
decenza nel raccontare la sua “passeggiata nella zona del vizio” (ndr
Walk on the
wild side). Già…perché in poco più di un’ora e mezza il regista
Christophe Honoré ci regala uno spaccato di una ruvidità inaudita, persino
brutale in certi momenti, sugli angoli più estremi e oscuri delle relazioni
sentimentali, sullo strapiombo maledetto dell’animo umano. Uno strapiombo di
fronte al quale ci copriamo gli occhi fingendo di ignorarne l’esistenza,
cercando di nasconderlo per dimenticarlo, rifiutando di sporgerci per non
sentirci minacciati. Uno strapiombo che Honoré ci sbatte in faccia senza
troppi complimenti o giri di parole, con una vena di sadismo spesso
eccessiva e gratuita.
Pierre (Louis Garrel), diciassettenne goffo e introverso, sviluppa un amore
morboso nei confronti della madre Helene (Isabelle Huppert), all’interno di
un rapporto edipico che in seguito alla morte del padre si fa ancora più
intenso e torbido. Incapace di sopportare l’amore platonico che il giovane
Pierre riflette su di lei, Helene si apre svelando la sua vera essenza agli
occhi del figlio, chiedendogli di amarla per ciò che è realmente e di
imparare ad amare come lei. Di essere come lei. Quasi a ricercare in lui
quell’immortalità che la ossessiona. Comincia così l’iniziazione sessuale
del ragazzo, che si perde gradualmente in una discesa senza freni verso un
erotismo sempre più al limite.
Sguardo tenebroso e aria maledetta, Louis Garrel, vero protagonista di
questa pellicola, premia la fiducia di Bertolucci confermando il talento già
espresso in THE DREAMERS. Un talento che a quanto pare è impresso a fuoco
nel dna di famiglia: padre, madre, nonno…tutti interpreti del grande
schermo. Nonostante i pochi dialoghi a disposizione, Garrel si cala nel
personaggio con una padronanza insolita per un attore al suo terzo film,
rivelandosi indubbiamente uno dei nuovi enfant prodige della cinematografia
mondiale. Cercato con insistenza dalla cinepresa, regge con estrema
naturalezza e fascino i primissimi piani di Honoré, offuscando quasi la
Huppert. C’è da sperare soltanto che nella prossima pellicola non ci venga
proposto nuovamente sotto forma di angelo tormentato, cultore incallito
della masturbazione.
Tratto dal romanzo di Georges Bataille, MA MÈRE è un film d’impatto,
volutamente costruito per aggredire lo spettatore e spogliarlo di ogni
difesa, per denudarlo di ogni morale o preconcetto. Ed è ciò che avviene
all’improvviso dopo la prima parte, un colpo basso che lascia disorientati,
in cerca di una stabilità emotiva repentinamente inghiottita da quello che
sembra essere un elogio delirante del vizio sfrenato, della promiscuità,
della lussuria e dell’incesto. Nudo e impacciato proprio come Pierre…così è
il nostro sguardo allo scorrere violento dei fotogrammi mentre seguiamo
l’evolversi del racconto. Abbandonati al gioco perverso di Helen, non
possiamo che restare immobili e vulnerabili di fronte allo schermo.
Un attacco che non riusciamo a contrastare: ecco
il vero punto di forza di Honoré, ciò che impreziosisce questo film. Troppo
semplice stroncarlo tacciandolo di follia o insensato esibizionismo. Lontano
dall'essere privo di spunti concettualmente interessanti, MA MÈRE racconta
la vita di uomini dimenticati da Dio, cacciati dal paradiso terrestre del
lecito e del consentito, e che di ciò godono superbi, senza timori né
limitazioni etiche, nell'infinita lotta fra "Es" e "Super-Io". Un film che toccato il fondo non esita a scavare ulteriormente,
allontanandosi in maniera tanto spasmodica dal divino da arrivare a
sfiorarlo. E’ forse questa ricerca, a tratti troppo grezza e sproporzionata,
a lasciare il lavoro di Honoré fluttuante nel purgatorio del cinema,
rendendolo facile preda della critica più bacchettona.
Geniale la scelta del brano “Happy together” nel finale, ad accompagnare il
distacco definitivo fra Pierre e la madre. Distacco che attraverso i toni di
speranza e le liriche azzeccatissime della canzone segna con cinica ironia
lo spiraglio di luce. La liberazione.
Voto: 25/30
03.07.2004
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