
Spesso guardati di sfuggita, ignorati,
snobbati perché lunghi e fastidiosi, i titoli di testa di un film possono
invece suggerire molto sul taglio della vicenda. Quelli di
La mala educaciòn, nuovo
attesissimo film di Pedro Almodòvar, oltre ad attirare l’attenzione per la
dinamicità, il ritmo ed i colori, sembrano consigliare un’attitudine alla
visione dell’intero film. La composizione in continuo divenire di frammenti
di informazioni che si strappano e si sostituiscono preannuncia lo
svelamento di nuove realtà sotto quelle evidenti. Il gioco visivo ci
inserisce nel mondo squisitamente cinematografico dell’illusione della
verità consigliandoci in sordina di mantenere uno sguardo accorto e cinico e
di prepararsi a qualsiasi sconvolgimento.
La trama ruota intorno alle vite intrecciate di tre personaggi: Enrique ed
Ignacio, l’infanzia insieme nell’ambiente ipocrita di un collegio cattolico
degli anni ’60, la condivisione delle prime emozioni dell’innamoramento,
della sessualità, del “peccato”, l’innocenza perduta; padre Manolo,
enigmatico prete -insegnante di letteratura - direttore del collegio,
innamorato-ossessionato da Ignacio al punto di desiderare di possederlo, di
esaudire il proprio desiderio e di allontanare Enrique affinché il suo
malato idillio potesse essere completo ed indisturbato. La separazione dura
vent’anni, l’occasione per il ritrovo assume la forma di un progetto
cinematografico sugli anni del collegio, soggetto di Ignacio (ex scrittore,
aspirante attore nella parte di sé stesso versione trans), regia di
Enrique. Inaspettatamente per quest’ultimo rievocare un passato lontano
assumerà i contorni incerti di un viaggio nell’esistenza dell’amico al
termine del quale si scoprirà essere l’unico punto fermo e l’unica certezza
in una realtà trasfigurata, multifaccia, ingannevole ed immaginaria. La sua
passività nel ricostruire mentalmente il puzzle Ignacio attraverso
l’autobiografia e i racconti di altri si tramuta progressivamente in una
forte presa di coscienza dell’entità reale di ogni personaggio implicato
nella vicenda, fino al momento in cui prenderà definitivamente le redini del
destino di ognuno riscrivendo ogni singola vita nel suo personale linguaggio
cinematografico. Enrique è costretto a sostituire alle immagini originarie
nuovi ritratti, a invertire, discernere, mutare il suo sguardo. Il ritrovato
compagno Ignacio è in realtà il fratello minore Juan, sostituitosi a lui
spinto probabilmente da un folle delirio artistico e dalla totalizzante
ambizione di essere un attore in ogni fibra; padre Manolo da introspettivo
ed idealista pervertito innamorato dell’innocenza, della grazia e delle
incredibili e poetiche doti di Ignacio si rivela voglioso maniaco
costantemente arrapato da un qualsivoglia corpo maschile, purché ben fatto;
l’Ignacio originale, tenero, angelico, precoce fanciullo poi bellissima drag
queen è in realtà un volgare trans che vive di ricatti ed eroina in uno
squallido appartamento di una Valencia grigia e piovosa.
Fra realtà e immagine della realtà Enrique sceglie di stare dalla parte
della rappresentazione, non per convincersi volontariamente della versione
più indolore, quanto per restituire a quell’incredibile storia il degno
ritratto in opera d’arte. Il suo omaggio ultimo all’amico è innanzitutto un
inno alla potenza del cinema, unica forma d’arte capace di impedire ad
Enrique di arrendersi alla verità dei fatti sigillando per sempre quella che
per lui era la figura inimitabile di Ignacio. Per raggiungere questo scopo
Enrique (che per l’occasione veste i panni di Almodòvar stesso) si avvale di
tutti gli espedienti che il mezzo offre. Separa nettamente i buoni dai
cattivi attraverso un uso, forse un po’ didascalico, del colore: l’universo
di Ignacio è fatto di tonalità sgargianti che invadono come un uragano il
luminoso bianco brillante del collegio e si stagliano idealisticamente
contro l’ipocrisia e l’oppressione della veste nera di padre Manolo che non
riesce ad appropriarsi della luce irradiata dagli oggetti sacri che lo
circondano. Il montaggio si limita a suggerire gli avvenimenti più dolorosi
senza mostrarli esplicitamente ma contrapponendoli alla pace ed alla
sacralità della vita del collegio. Il primo assalto di padre Manolo ad
Ignacio avviene nel più assolato dei pomeriggi, in riva al fiume sulle note
di un’eterea “Moon River” interpretata dal bambino stesso. Sotto gli occhi
sospettosi dello spettatore ogni gesto di ordinario ed innocente
divertimento riesce ad evocare riferimenti alla sessualità malata del prete.
Nonostante inizialmente si possa cadere in inganno,
La mala educaciòn non appare
mai come un film di denuncia nei confronti delle ingiustizie e degli abusi
grandi e piccoli celatisi per anni nei rassicuranti ambienti collegiali. Non
solo perché questa tematica, assorbita dalla giostra vorticosa delle
identità indefinite, risulta presto marginale, quanto perché, proprio grazie
agli imprevedibili risvolti della vicenda, il film si autodefinisce come
finzione totale. Il crescente clima di indeterminatezza che accompagna lo
spettatore verso l’acquisizione di uno sguardo diffidente e distaccato
sembra nascondere una riflessione sul fare film in senso lato. Un film può
ispirarsi a fatti realmente avvenuti, ragionare su persone esistite
realmente, documentare eventi tratti dal vero ma agirà sempre come un
filtro, non sarà mai verità. Non solo perché è privato del tempo e di
porzioni dello spazio, soprattutto perché è vittima di un punto di vista
unificatore, lo sguardo del regista. Inutile, quindi, illudersi della
validità documentaristica di un prodotto filmico, meglio arrendersi al
destino della finzione e ricavare tutto il possibile (a livello artistico)
da questa condizione obbligata. Non per altro Enrique ed assistente cercano
spunti per i soggetti dei film fra le pagine di cronaca e partendo da un
piccolo stimolo costruiscono vicende completamente indipendenti. Non per
altro l’accenno autobiografico di Almodòvar alla vita in collegio è soltanto
l’evento scatenante di tutto un mondo frutto della sua florida fantasia. Il
cinema che si prende sul serio non fa onore a chi fa cinema. Ne è l’immagine
il giovane Juan, completamente assorbito dal suo essere attore prima che
uomo. Ma anche la sua dedizione totale nell’interpretazione del fratello,
impenetrabilità, malleabilità, perfezione nel non lasciar mai trasparire
quella che è la sua interiorità, precipita di fronte ad un ostacolo
strutturale: il suo corpo, una condizione che non si può cambiare. Come il
migliore degli attori non può mutare il proprio aspetto per essere il
personaggio in tutto e per tutto, così l’obiettivo della macchina da presa
separerà sempre il reale dalla finzione, seppur verosimile. Lo scorrere
degli eventi assume per Juan e Enrique i contorni di un viaggio interiore in
direzioni opposte: il primo, interpretando il concetto di identità come
essere identico a qualcun altro, consuma la sua esistenza nella schiavitù
dell’immagine che si è creato; il secondo, alla ricerca dei pezzi mancanti
del proprio passato fra i resti della vita dell’amico approda invece al
consolidamento della propria identità all’insegna della coerenza, della
lucidità e, in un certo senso, della purezza. E’ infatti riservata ad
Enrique la dichiarazione di poetica che chiude il film. Scegliere nonostante
tutto di continuare a fare cinema è una decisione dettata dalla passione,
non dalla ragione; è uno modo di approcciarsi al mondo ridisegnandolo a
propria immagine, è un vaggio di andata e ritorno, dall’innocenza alla presa
di coscienza della contradditorietà e ferocia della realtà nuda e cruda per
tornare ad una creazione consapevole della versione satinata e luccicante
della realtà stessa, sufficiente per assicurarsi momenti di puro piacere
estetico. Non è uno sminuire l’arte cinematografica privandola di ogni
valenza scientifica, è piuttosto un esaltarla in quelle che sono le sue
peculiarità. Se l’inizio del film ci consigliava un pizzico di scetticismo,
la fine ci ricorda con forza ciò che deve essere punto di partenza ed allo
stesso tempo di arrivo del cinema: la passione, unica parola d’ordine sia
per gli addetti ai lavori che per i comuni spettatori.
Voto: 27/30
21.10.2004 |