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mAchete di Robert Rodriguez, Ethan Maniquis
con Jessica Alba,
Robert De Niro |
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27/30
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Non lo scopre certo Rodriguez: il Messico è “l’inconscio” degli Stati Uniti. Nel senso che è la riserva di jouissance dell’identità americana; il sogno proibito in cui ha luogo e corso tutto ciò che è represso; l’apoteosi immaginaria di ogni possibile impulso disinibito. Rodriguez, ad ogni modo, ci ha sempre marciato. Finché, con Planet Terror, si è accorto che al fondo di tutto questo bollente “colore locale” c’è una linea di confine. Al di qua, l’identità e ciò che è permesso e sotto controllo – al di là, un inferno sanguigno di eccessi. In Planet Terror, Rodriguez aveva giocato con questo confine grazie al discrimine fantascientifico umano-non-umano. In Machete il confine si fa correttamente geografico (USA-Messico), e il progetto quindi direttamente politico. IL nodo politico di questi tempi, quello della regolazione “controllata” dell’emigrazione (respingere il diverso al confine è funzionale al suo sfruttamento sottopagato nell’economia locale) viene direttamente affrontato da Rodriguez con precisione assolutamente inattaccabile. Questo decisivo paradosso (“biopolitico”, direbbero alcuni) viene portato avanti dal film con una incessante (para-carpenteriana) ridiscussione del confine tra le due parti in causa, oggetto di continui ribaltamenti. Quello che rimane fermo e granitico è l’ago della bilancia Machete, principio (fallico) di assoluta impersonalità, al riparo da qualsiasi contatto con la materia incandescente del godimento (dopo che, nell’incipit, un’appena percettibile flirt con una donnetta gli è costata l’eliminazione della famiglia in un’imboscata). La materia incandescente del godimento, invece, sprizza da ogni poro del film – lacerato dunque (grazie al cielo!) tra uno sviluppo narrativo che segue il continuo ribaltarsi delle parti senza mai sbagliare un colpo, e un priapismo registico che non si stanca mai di digressioni, strizzate d’occhio, esplosioni di ironia (gli intestini usati come corda per saltare da un piano all’altro di un ospedale attraverso le finestre) e di violenza.
Machete è l’apolide assoluto, il resistente alieno a qualunque identità che
(per questo) non muore mai. Principio di godimento assoluto perché alieno
dal godimento. L’unico che si sottrae al gioco dell’eccezione fatta apposta
per confermare la regola (il nucleo politico forte dell’immigrazione
clandestina). Il transfuga Rodriguez lo segue sbattendoci sugli occhi il
fatto che tra una coerenza narrativa cristallina e il sangue e le viscere
pulsanti dell’emozione cinematografica più spregiudicata, in realtà non c’è
contraddizione. 05:09:2010 |
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