
Amore senza fine, sfida all'inesorabilità del tempo, tentazione
dell'immortalità.. Il bel film di Simon Welles, tratto dall'omonimo
romanzo di H. G. Welles non senza strizzare l'occhio alla pellicola anni
sessanta di George Pal con Rod Taylor, aggiorna al nuovo millennio quelle
che venivano descritte come le ansie dell'uomo "moderno" a cavallo
tra XIX e XX secolo e confeziona un ricco film d'avventura impreziosito
di moventi puntuali come gli orologi che ovunque celebra, di motivi e
pulsioni così verosimili da rendere palpabile tra le dita l'ambizione
della scoperta, l'ossessione per macchine che imbrigliano le pieghe del
tempo, il soggiogamento a passioni smisurate che scagliano cuore e corpo
in esperienze oltre il limite. Alexander Hartdegen, professore, matematico,
scienziato, si lancia, infatti, nella più ardita delle imprese
che animo umano abbia mai concepito, ma non è mosso da puro spirito
di avventura o sete di quella conoscenza che solo si può suggere
dalle labbra del tempo, come invece era l'originale protagonista del romanzo,
un uomo senza nome e senza radici, bensì da un'irrecuperabile tragedia
personale che lo spinge a voler cambiare il passato sfidando le leggi
di Dio e degli uomini. Mentre, dunque, il viaggiatore di H. G. Welles
poteva facilmente essere uno qualsiasi dei lettori che, in immedesimazione
quasi simbiotica con il protagonista della più grande fantasia
mai concepita, si lasciavano trascinare in una concezione sociale e filosofica
profonda ed affascinante, il giovane Alexander è uomo unico ed
irripetibile, spinto da moventi che non sono universali e scientifici
ma intimi ed egoistici, un uomo del suo tempo risucchiato nella forma
estrema di fuga da un confronto impari con la casualità, che rifiuta
di farsi dominare come pedina di un fato che plasma l'unica realtà
visibile, disperato come pochi, determinato come nessuno, capace di riconoscere
la propria inadeguatezza e cambiare, quando necessario, nel corso di un'esperienza
che è pura follia della ragione. Per aggiornare la storia in accordo
con la modernità della concezione del nuovo protagonista occorreva
filare un contesto emotivo di grande forza per creare l'unica spinta credibile
al rischio del fallimento più funesto che un uomo possa affrontare.
E questa motivazione ultronea è stata individuata nell'amore: è
la disgrazia che distrugge l'elezione di sentimenti tra Alexander ed Emma
a perdere la mente del giovane scienziato dietro l'ambizione di riuscire
a cambiare il passato, tornando al momento della tragedia per estirpare
la radice stessa della sua incurabile infelicità. Per un attimo,
quando vediamo Alexander materializzarsi sul luogo dell'appuntamento con
la fidanzata e portarla via, lontano dal pericolo che l'avrebbe recisa
anzitempo, speriamo, con infantile sospensione, pur conoscendo perfettamente
i ben diversi sviluppi della storia, che davvero la favola possa aver
la meglio sulla falce della morte ma ben presto siamo costretti a fare
i conti con una tremenda lezione: il passato è immutabile.. Alexander
potrebbe tornare indietro cento, mille volte ma Emma morirebbe comunque.
E' per dare risposta all'orribile domanda che gli pulsa nel cervello:
"Perché non posso cambiare il passato?" che Alexander
si getta a corpo morto verso un futuro che abbia in serbo le risposte.
Le tappe del suo viaggio, sconcertante esperienza dei sensi e dura prova
per i nervi di un newyorkese del XIX secolo, non offrono soluzione ai
suoi quesiti puntuali finchè un cataclisma, nel 2037, lo scaglia
avanti nel tempo di 800.000 anni, in un mondo ridisegnato dai mutamenti
geologici e climatici, plasmato, come creta morbida, dalle mani dei millenni
che generosi chiudono ferite e ricoprono cicatrici che l'insana ambizione
dell'uomo ha scavato profonde sul volto di un pianeta che respira e soffre
come ogni essere vivente. Alexander si risveglia in un mondo rigoglioso
e fertile, generoso e vitale, un mondo nuovo popolato da una razza nuova,
gli Eloi, popolo gentile e pieno di dignità, che vive dei frutti
della terra e costruisce villaggi di bambù a nido di rondine, arrampicati
come ragni sulle coste dei promontori più aspri. La vita sembra
finalmente serena, gli incubi del passato disciolti, l'angoscia della
morte sopita come orco che dorme.. eppure mai l'orrore è stato
così vicino: la più terribile delle paure ataviche dell'uomo
ha le fattezze dei Morlock, feroci mostri cannibali che predano gli Eloi
come fossero animali da braccare. Millenni di evoluzione hanno creato
due razze incompatibili, separate dalla supremazia dei Morlock nella catena
alimentare. Un popolo di famelici mostri che vivono privati della luce,
deturpati nel fisico e nella mente dall'abbrutimento degli istinti primordiali,
controllati da un intelletto superiore che domina i loro pensieri elementari
informandone le vite alla mera sopravvivenza. Questo personaggio magnetico
e terrificante è Uber Morlock, un'idea partorita dal genio di H.
G. Welles nella prima stesura del romanzo e successivamente eliminata,
un carattere ripreso e sviluppato da Simon Welles, regista di questo TIME
MACHINE nonché pronipote innamorato della profondità del
pensiero evoluzionista e socialista intriso dei più genuini germi
della coscienza di classe di H. G. Welles, per offrire alla forza emotiva
ed intellettuale di Alexander un avversario degno, autoritario ed affascinante.
Sarà proprio Uber Morlock a disvelare ad un attonito Alexander
la risposta all'interrogativo più pressante di tutta la sua esistenza:
il paradosso temporale per cui non è possibile tornare in dietro
nel passato per cambiare un evento che ha creato il motivo stesso del
viaggio nel tempo. Mortifica un po' intravedere, sotto il trucco prostetico,
le fattezze deturpate di un attore meraviglioso e carismatico come Jeremy
Irons, nonostante le buone intenzioni di regista e produttori che volevano,
per questo ruolo, un attore in grado di ammaliare ed intimorire chiunque
a prescindere da trucco ed effetti visivi. Notevoli, invece, le performance
degli altri protagonisti a partire da Guy Pierce, perfettamente a suo
agio così nei panni dell'intellettuale come in quelli dell'eroe
che salva il mondo, Samantha Mumba, spontanea ed essenziale, eccellente
nella parte di Mara, ragazza trasgressiva e coraggiosa che sfida le regole
e si ribella ad un destino di sudditanza, fino alla splendida Sienna Guillory,
giovane attrice inglese che ricorda per bellezza e magnetismo la migliore
Jessica Lange. La pellicola, dunque, diverte e conquista non solo per
la ricchezza delle invenzioni visive e degli effetti speciali o la grande
forza evocativa degli scenari proposti ma anche per lo spessore della
tessitura narrativa, la profondità di analisi ed introspezione,
la perfezione dei particolari e degli incastri spazio temporali che si
avvicendano e si combinano in un quadro finale godibile, potente e di
grande spettacolo.
Voto: 27/30
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