
Che il cartoon fosse una cosa molto
seria nel complesso della cultura americana (diciamo pure occidentale)
non è certo una novità. Men che meno i frullati postmoderni di
immaginario con tanto di autoreferenzialità, cose invecchiate da
decenni. Il nuovo film di Dante, pur reggendosi su simili vetuste
stampelle, ci sembra tuttavia di straordinaria vitalità e importanza.
Tralasciando la ridicola trama di cui i personaggi stessi ribadiscono
via via con esplicite battute la assoluta prevedibilità, la sua è un
opera molto complessa, inassimilabile alle accozzaglie pseudopop alla
Sonnenfeld (Wild wild west),
molto ambiziosa. L’ibrido (simile all’epocale
Chi ha incastrato Roger Rabbit?
di Robert Zemeckis) tra cinema come siamo abituati a vederlo e
animazione ha una valenza immediatamente metacinematografica. Ciò che
ci dice è questo: la “nuova new hollywood” postmoderna è, come
sappiamo, riciclo a getto continuo di trame e brandelli filmici in una
combinatoria impazzita e bastante a se stessa, proprio allo stesso
modo del proliferare infinito di forme del cartoon. Ma anziché
adagiarsi (anche se in modo geniale o sublime, secondo alcuni) come p.
es. i Coen su questo assunto decostruendo e ricostruendo le forme
della Hollywood che fu (Prima
ti sposo poi ti rovino come meta-sophisticated-comedy
definitiva), Dante lo assume come mero punto di partenza per un gioco
di semplice assemblaggio di “immaginario disintegrato” potenzialmente
senza fine. Non chiude cioè la decostruzione dell’immaginario in una
forma compiuta (e infatti il film è in partenza inconciliabilmente
SCISSO, tra animazione e profilmico tradizionale), bensì le toglie
ogni freno per ambire alla pura DINAMICA narrativa senza
sbocco, perpetua. Le immagini dunque come unità minime che si
rincorrono l’una appresso all’altra all’infinito: puro movimento. Se
ne L’uomo che non c’era
un Edward Hopper (per esempio) è presente in senso strutturale, a
informare le basi visive di certe parti del film, al contrario in
Looney tunes: back in action
troviamo una lenta carrellata all’indietro lungo i corridoi del louvre
in cui i personaggi cartooneschi più disparati si mescolano e
interagiscono con le grandi forme della storia dell’arte ("L’urlo" di
Munch o gli orologi dissolventisi di Dalì) che scorrazzano fuori dalla
cornice. Nel primo caso una forma nata dalla decostruzione di una
precedente, nel secondo un contenitore vuoto che vede dibattersi senza
risoluzione i lacerti di immaginario decostruiti. Guardacaso, in una
delle prime scene c’è un cameo di Roger Corman, e sappiamo bene quanto
la sua geniale pratica postartigianale di spezzettamento e riutilizzo
dei materiali della grande hollywood classica morente sia vicina a
questo rincorrere il puro movimento di forme e situazioni.
Voto: 28/30
21.11.2003
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