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lourdes
di Jessica Hausner |
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15/30
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Lourdes come la Disneyland della Fede. Orde di pellegrini smistati e gestiti in una impeccabile organizzazione degli spazi. Un management disciplinare dei corpi e della speranza. Questo il partito preso di Jessica Hausner: raccontare Lourdes come un organismo burocratico in cui suore e preti districano gli avventori tra gite, preghiere, pranzi e visite ai luoghi sacri. L’inquadratura è il rapprendersi grafico di questi luoghi nella funzione che è loro preposta da questo management, con tutta la spigolosità e la bilanciata vettorialità del caso. I campi lunghi delle tavolate della Caritas, delle enormi file per toccare le rocce sacre e quant’altro, sono una griglia visuale di linee e angoli attraverso cui viene quotidianamente smaltita la gestione burocratica dei corpi derelitti e del miracolo che li redime. Christine è uno di questi corpi. Costretta su di una sedia a rotelle e assistita da una giovane e amorevole infermiera volontaria, un giorno Christine si mette a camminare. L’infermiera non sarà più tanto amorevole, anche perché entrambe innamorate di una guardia che molto presto comincerà a preferire la miracolata. Beninteso: il miracolo è in sordina. Niente angeli con le trombe o cose del genere. Christine prende e si alza, punto. Filmata come si filmerebbe uno che beve un bicchiere d’acqua. La Hausner cerca insomma di sottrarre tutta la sacralità possibile al miracolo; cerca di trasformarlo nell’imprevedibilità tutta laica di ciò che può fare un corpo anche nostro malgrado. Così, però, rischia di infilarsi in una fede ancora più integralista di quella che è stigmatizzata con leggerezza in questo film. Mostrare Christine che dopo il miracolo si mette a ballare e poi ricade a terra appena prima della fine del film vuol dire non avere nemmeno il coraggio del proprio cinismo. Né per il miracolo, né contro: la Hausner alla fine non arriva ad altro che a una vaghezza vigliacca, che non si lascia confondere nemmeno per un momento con la ben più nobile Ambiguità. Da una parte un mistero di fatto assoluto (che cosa può un corpo? Boh), e dall’altra la chiarezza illuminista delle linee e degli angoli dell’inquadratura e della disciplina dei corpi nell’istituzione-Lourdes. La Hausner si limita a sganciare questi due poli che la burocrazia ecclesiastica (che non ci fa una gran bella figura in questo film) rivendica di poter mediare. E fin qui, tutto bene. Il problema è che la Hausner si ferma qui, vittima dell’ignavia di non provare ad annodare altrimenti questi due fili. E il suo film è il primo a pagarne lo scotto. Concepire le linee e gli angoli esclusivamente come proprietà strutturali di un luogo che è innanzitutto gestione dei corpi e della speranza che li oltrepassa (Lourdes come efficiente apparato burocratico) fa sì che la dimensione spaziale sia tutta nell’oggetto che si vuole raccontare (ancora Lourdes) e non nel racconto. Sicché il film, nonostante la prodigiosa capacità grafica dell’inquadratura, non riesce a raccontare per immagini, e non ha, propriamente, una vera “messa in scena”. C’è uno spazio raccontato graficamente, e un racconto che va avanti nel più stanco dei modi, con le sue cause, i suoi effetti e il suo bilanciamento degli elementi di contorno. Tutti elementi che si susseguono nel tempo senza davvero interferire con lo spazio che, per quanto vistoso, è solo un elemento tra gli altri di un racconto che vorrebbe essere ambiguo ma che è solo incapace di prendere posizione.
09:09:2009 pubblicata originariamente in venezia.66 |
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lourdes Austria 2009, 96'
DUI: 11
febbraio 2010 Drammatico |
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