Per confezionare il personaggio di Yuri Orlov, Andrew Niccols condensa le
vite di cinque trafficanti d’armi realmente esistiti e dà vita ad una figura
affascinante, che con innocenza e disinvoltura vende fucili e munizioni come
fossero aspirapolveri (direttamente “dal produttore al caricatore”),
offrendo un carro armato in omaggio ogni sei acquistati, neanche si
trattasse di merendine, e che –protagonista assoluto, anfitrione e narratore
della vicenda- grazie alle capacità attoriali di Nicholas Cage impreziosisce
questo film d’accusa coraggioso ma non esente da difetti.
Niccols, regista e sceneggiatore arguto, costantemente alla ricerca di
tematiche pregnanti (che si tratti della pervasività televisiva di THE
TRUMAN SHOW o dell’ingegneria genetica di GATTACA), è riuscito a toccare una
tematica scomoda come il commercio d’armi solo a costo di raccogliere i
fondi al di fuori dei confini statunitensi e facendo a meno dell’aiuto delle
major, e tuttavia è stato in grado (anche grazie all’importante appoggio
dello stesso Cage) di racimolare una somma ragguardevole, per quello che è
uno dei film “indipendenti” più costosi della storia del cinema.
LORD OF WAR comincia dalla fulminea illuminazione di un giovane Orlov,
immigrato ucraino a New York, che in seguito ad un regolamento di conti in
un locale comprende che il vero business non risiede certo nella
ristorazione, nonostante la tavola calda posseduta dai genitori e in cui
lavora il fratello minore Vitaly (Jared Leto) lo avrebbe a rigor di logica
avviato in quella direzione. Yuri decide di coinvolgere anche Vitaly e così
i due “fratelli in armi” cominciano a farsi le ossa nel settore, pur
rimanendo pesci piccoli in confronto a dei tycoon del mercato come Simon
Weisz (Ian Holm). Nonostante Yuri sia poi costretto a mettersi in proprio a
causa dell’eccessivo entusiasmo che il fratello manifesta per la cocaina, e
nonostante la caccia continua del ligio agente dell’Interpol Jack Valentine
(Ethan Hawke), gli affari procedono. E con i soldi arriva anche l’amore: Ava
Fontaine, affascinante modella che Yuri (a insaputa di lei) tampina da una
vita, si ritrova in breve sedotta e sposata, seppur inconsapevole della
reale occupazione del premuroso marito.
Ma la svolta arriva con il crollo dell’URSS: le ex-repubbliche sovietiche
sono allo sbando e prive del rigido controllo degli anni del comunismo. La
combinazione di magazzini pieni e militari scontenti costituisce terreno
fertile per quelli come Yuri, che con un buon aggancio e molte bustarelle
riesce a fare affari d’oro e addirittura a superare il meno spregiudicato
Weisz.
Se però Orlov aveva ancora un briciolo di coscienza, lo perde nel legarsi al
truce dittatore liberiano Andrè Baptiste. Oltretutto, la moglie comincia ad
insospettirsi e Valentine si fa sempre più incalzante. Tutti ne usciranno
sconfitti, e non abbiamo nemmeno un tardivo pentimento che avrebbe rischiato
di compromettere il personaggio di Orlov: il film si chiude con un’accusa
generalizzata alle grandi potenze, le vere regine del mercato delle armi.
Forte di una trama ben ordita e di notevoli suggestioni visive (basti
pensare alla sequenza iniziale, che mostra attraverso un’originale
soggettiva il “ciclo di morte” di un proiettile che dalle catene di
montaggio si ritrova in breve conficcato nel cranio di un ragazzino), LORD
OF WAR ha però dei punti deboli. Uno degli aspetti maggiormente criticati è
stata la pervasività del voice-over di Orlov, senza il quale la struttura
narrativa reggerebbe difficlmente. Questo primo aspetto è però giustificato
sia dalla necessità di affrontare con costante ironia, grazie al cinico
senso dell’umorismo di Yuri, una materia di un certo peso. Inoltre concorre
a produrre l’effetto perturbante di avvicinare lo spettatore ad un eroe
negativo come Orlov: per quanto si possa trovare del tutto riprovevole
l’operato di questo personaggio, inevitabilmente in molte situazioni ci si
ritroverà a fare il tifo per lui, attanagliati però dalla consapevolezza di
seguire le gesta di un individuo al di là della morale.
Risulta invece poco credibile il personaggio dell’impeccabile agente
Valentine, eccessivo nel suo rigore ottuso da paladino della legge, e che
peraltro non concede un grande spazio espressivo a Ethan Hawke.
Inoltre, convince poco il finale, coraggioso nel suo accusare un crimine che
è perpetrato proprio da coloro che ne condannano primariamente la gravità,
eppure superficiale nel denunciare senza però argomentare, approfondire e
spiegare. Un po’ come sparare alto senza prendere bene la mira…
Voto: 26/30
28:11:2005 |