da 61ma mostra del cinema di venezia

IL SEGRETO DI VERA DRAKE
di Mike Leigh
Con: Imelda Staunton, Phil Davis

di Gabriele FRANCIONI

LA FRASE DEL FILM
“Lei provocava aborti illegalmente!”

“ Io aiutavo solo ragazze in difficoltà”.

Lo scontro titanico tra due volontà estreme non-dialoganti: l’istinto di ostinata difesa della Società che travisa le volontà del Singolo, versus l’istinto di autodifesa del Singolo che non si sente rappresentato dalle Istituzioni e dalle sue Leggi (per non dire del credo religioso).


PREMESSA
Probabilmente avrebbe vinto MAR ADENTRO, anche se il confronto impietoso con un altro film d’argomento simile, anch’esso candidato al Leone d’oro, avrebbe costretto la giuria a subire un attacco ancora più serrato di quello in atto in questi giorni da parte della stampa italiana. Anche adesso che invece è stato premiato VERA DRAKE, infatti, siamo costretti a sorbirci le lamentele sull’operato della giuria (Boorman, Spike Lee, Scarlett Johansson, Helen Mirren, ovvero assoluta garanzia di qualità di verdetto e libertà di giudizio) e i pianti ingiustificati dei principali quotidiani nazionali. “Ma non si poteva DIFENDERE e PROTEGGERE maggiormente il cinema italiano?”, viene chiesto a Calopresti. Oppure: “Amelio, ecco il Leone”. Potremmo dilungarci per ore nel tentativo di analizzare i perché di tali strenue difese del campo di battaglia – passi BELLOCCHIO, che l’anno scorso portò un bel film, ma LE CHIAVI DI CASA, per favore……- ma la cosa ci deprime oltremodo e passiamo oltre.

GIUDIZIO
VERA DRAKE è un prodotto onesto, un modo limpido per dichiarare al mondo l’esistenza, meglio, la permanenza di un problema grave e assai sentito, come quello dell’aborto clandestino.
Anche PALINDROMES di Todd Solondz accenna al tema, ci gioca con ironia non a-problematica, e non pretende di elaborare giudizi e conclusioni, salvo sbeffeggiare il giusto gli antiabortisti americani, capaci di assassinare in serie i medici favorevoli ad una ragionevole soluzione del problema.
E’ quindi, il film di Mike Leigh, un lavoro inattaccabile, che si propone come un tutto compatto, ove rigore della messa in scena (anni ’50 londinesi, dopoguerra depresso, pesanti strascichi psico-esistenziali e materiali della guerra appena finita), si sposa ad un assoluto controllo della regia esperta e levigata da decenni di political correctness. Gli attori coprono con abilità i restanti spazi filmici, tutti presi dal com primere al massimo i tempi della recitazione, quasi l’intera parte iniziale non vedesse l’ora di arrivare all’acme narrativo (il disvelamento dell’attività illegale di Vera).
Non c’è che dire: tutto sembra perfetto, ogni inquadratura contribuisce alla progressiva costruzione di un senso della compassione e condivisione verso i tipi umani e il dramma che va delineandosi: ma ciò accade, per così dire, inesorabilmente, senza cioè che qualcosa ci coinvolga oltre il limite dell’empatia e della solidarietà.
Insomma, non solo condividiamo TUTTO ciò che il film veicola in termini di SIGNIFICATO, ma avremmo voglia di urlare al mondo l’idiozia del verdetto che condannò Vera e quella delle attuali leggi sulla materia (un vero scempio), nonché le già citate assurdità di casa negli Stati Uniti, ma allo stesso tempo la nostra mente cinematografica s’impigrisce nel tentativo, fallito, di trovare anche una sola invenzione in mezzo al film. Qualcosa che assomigli anche lontanamente a MAR ADENTRO (il dialogo tra il prete e Bardem, i voli di fantasia di quest’ultimo, l’intesa con Julia), il nostro, l’unico vero Leone d’oro della Mostra 2004.


SINOSSI E CONSIDERAZIONI GENERALI
Vera Drake aiuta ragazze in difficoltà, senza distinzione di classe sociale, senza pretendere compensi, mossa solo dall’istinto materno esteso che riesce a farla essere madre-moglie-figlia-assistente di anziani allo stesso tempo: i deboli sono tutti figli suoi, repliche incolpevoli di quell’atto (la procreazione), che ondeggia eticamente tra due poli in perenne stato d’ambigua collisione. Libera scelta/ atto d’amore o frutto più o meno esplicito di violenza/ atto di prevaricazione e non amore.
L’istintualità di Imelda Staunton è straordinaria: traduce con forza il furore animalesco di una personcina a suo tempo vittima di uno stupro, che ne innescò la coazione a ripetere l’atto illegale dell’aborto provocato quasi si trattasse di una catarsi da replicare all’infinito, senza preoccuparsi di rinnovare i metodi e gli strumenti del mestiere – grattugia, pompetta e sapone – e, di riflesso, di verificare gli effettivi rischi corsi dalle improvvisate e dolenti pazienti.
Bisogna ammettere che se Vera è il motore di tutto, in primis del film, le figure di contorno sono quanto di più accessorio si sia mai visto (i figli ritagliati come sagome di cartone, la cognata unica-bella-e-quindi-unica-riprovevole-figura-amorale, il futuro genero buono ma devitalizzato) e, in verità, ne avremmo fatto a meno volentieri.
Insomma, la pellicola è quello che si è detto in precedenza: atto unico, sprigionamento irrefrenabile di una sola carica vitale trascinata da un a-solo attoriale che fa terra bruciata del resto, lasciando al centro del campo solo il monolito un po’ sordo e muto dell’assunto iniziale. Il tema scelto e il punto di vista espresso a riguardo, tanto per intenderci.
Siamo profondamente d’accordo con tutto, ma non con il film in quanto tale.

Voto: 23/30

06:09:2004

 

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