
LA FRASE DEL FILM
“Lei provocava aborti illegalmente!”
“ Io aiutavo solo ragazze in
difficoltà”.
Lo scontro titanico tra due volontà estreme non-dialoganti: l’istinto di
ostinata difesa della Società che travisa le volontà del Singolo, versus
l’istinto di autodifesa del Singolo che non si sente rappresentato dalle
Istituzioni e dalle sue Leggi (per non dire del credo religioso).
PREMESSA
Probabilmente avrebbe vinto MAR ADENTRO, anche se il confronto impietoso
con un altro film d’argomento simile, anch’esso candidato al Leone d’oro,
avrebbe costretto la giuria a subire un attacco ancora più serrato di quello
in atto in questi giorni da parte della stampa italiana. Anche adesso che
invece è stato premiato VERA DRAKE, infatti, siamo costretti a sorbirci le
lamentele sull’operato della giuria (Boorman, Spike Lee, Scarlett Johansson,
Helen Mirren, ovvero assoluta garanzia di qualità di verdetto e libertà di
giudizio) e i pianti ingiustificati dei principali quotidiani nazionali. “Ma
non si poteva DIFENDERE e PROTEGGERE maggiormente il cinema italiano?”,
viene chiesto a Calopresti. Oppure: “Amelio, ecco il Leone”. Potremmo
dilungarci per ore nel tentativo di analizzare i perché di tali strenue
difese del campo di battaglia – passi BELLOCCHIO, che l’anno scorso portò un
bel film, ma LE CHIAVI DI CASA, per favore……- ma la cosa ci deprime
oltremodo e passiamo oltre.
GIUDIZIO
VERA DRAKE è un prodotto onesto, un modo limpido per dichiarare al mondo
l’esistenza, meglio, la permanenza di un problema grave e assai sentito,
come quello dell’aborto clandestino.
Anche PALINDROMES di Todd Solondz accenna al tema, ci gioca con ironia non
a-problematica, e non pretende di elaborare giudizi e conclusioni, salvo
sbeffeggiare il giusto gli antiabortisti americani, capaci di assassinare in
serie i medici favorevoli ad una ragionevole soluzione del problema.
E’ quindi, il film di Mike Leigh, un lavoro inattaccabile, che si propone
come un tutto compatto, ove rigore della messa in scena (anni ’50 londinesi,
dopoguerra depresso, pesanti strascichi psico-esistenziali e materiali della
guerra appena finita), si sposa ad un assoluto controllo della regia esperta
e levigata da decenni di political correctness. Gli attori coprono con
abilità i restanti spazi filmici, tutti presi dal com primere al massimo i
tempi della recitazione, quasi l’intera parte iniziale non vedesse l’ora di
arrivare all’acme narrativo (il disvelamento dell’attività illegale di
Vera).
Non c’è che dire: tutto sembra perfetto, ogni inquadratura contribuisce alla
progressiva costruzione di un senso della compassione e condivisione verso i
tipi umani e il dramma che va delineandosi: ma ciò accade, per così dire,
inesorabilmente, senza cioè che qualcosa ci coinvolga oltre il limite
dell’empatia e della solidarietà.
Insomma, non solo condividiamo TUTTO ciò che il film veicola in termini di
SIGNIFICATO, ma avremmo voglia di urlare al mondo l’idiozia del verdetto che
condannò Vera e quella delle attuali leggi sulla materia (un vero scempio),
nonché le già citate assurdità di casa negli Stati Uniti, ma allo stesso
tempo la nostra mente cinematografica s’impigrisce nel tentativo, fallito,
di trovare anche una sola invenzione in mezzo al film. Qualcosa che
assomigli anche lontanamente a MAR ADENTRO (il dialogo tra il prete e Bardem,
i voli di fantasia di quest’ultimo, l’intesa con Julia), il nostro, l’unico
vero Leone d’oro della Mostra 2004.
SINOSSI E CONSIDERAZIONI GENERALI
Vera Drake aiuta ragazze in difficoltà, senza distinzione di classe
sociale, senza pretendere compensi, mossa solo dall’istinto materno esteso
che riesce a farla essere madre-moglie-figlia-assistente di anziani allo
stesso tempo: i deboli sono tutti figli suoi, repliche incolpevoli di
quell’atto (la procreazione), che ondeggia eticamente tra due poli in
perenne stato d’ambigua collisione. Libera scelta/ atto d’amore o frutto più
o meno esplicito di violenza/ atto di prevaricazione e non amore.
L’istintualità di Imelda Staunton è straordinaria: traduce con forza il
furore animalesco di una personcina a suo tempo vittima di uno stupro, che
ne innescò la coazione a ripetere l’atto illegale dell’aborto provocato
quasi si trattasse di una catarsi da replicare all’infinito, senza
preoccuparsi di rinnovare i metodi e gli strumenti del mestiere – grattugia,
pompetta e sapone – e, di riflesso, di verificare gli effettivi rischi corsi
dalle improvvisate e dolenti pazienti.
Bisogna ammettere che se Vera è il motore di tutto, in primis del film, le
figure di contorno sono quanto di più accessorio si sia mai visto (i figli
ritagliati come sagome di cartone, la cognata
unica-bella-e-quindi-unica-riprovevole-figura-amorale, il futuro genero
buono ma devitalizzato) e, in verità, ne avremmo fatto a meno volentieri.
Insomma, la pellicola è quello che si è detto in precedenza: atto unico,
sprigionamento irrefrenabile di una sola carica vitale trascinata da un
a-solo attoriale che fa terra bruciata del resto, lasciando al centro del
campo solo il monolito un po’ sordo e muto dell’assunto iniziale. Il tema
scelto e il punto di vista espresso a riguardo, tanto per intenderci.
Siamo profondamente d’accordo con tutto, ma non con il film in quanto tale.
Voto: 23/30
06:09:2004
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