
L'eterna sfida
di ogni narrazione, per immagini o no: il recupero di una prospettiva che
abbia il sapore del nuovo, la riconquista di un qualche senso di verginità
per così dire. Sfida non semplice, soprattutto quando l'oggetto della
narrazione è un'epoca storica che si è fatta ormai epica, che ha ormai
l'aura della moderna mitologia, che appartiene alla coscienza di chi in
quegli anni è vissuto e di chi, come chi scrive, in quegli anni nasceva.
Raccontare la Bologna del '77, del movimento studentesco, della guerriglia
urbana, della "creatività al potere", della imprescindibile rivolta contro
il sistema. Raccontare l'ansia di cambiamento e rottura di un'intera
generazione sottraendosi alle fin troppo facili accuse di "partigianeria" da
parte dei detrattori che, come ci racconta durante la conferenza stampa il
regista, si attaccano a presunti errori di ricostruzione storica del film
(LIBERO, di Vittorio Feltri, che confonde Umberto con Giovanni Agnelli,
all'epoca non ancora senatore N.d.R)
perché non hanno il coraggio di dire che gli hippies e le loro margherite
nei capelli sciarpe colorate capelli lunghi "gli hanno sempre fatto schifo"
(Marcello Veneziani, al 61 Festival di Venezia, a commento del film di
Chiesa, N.d.R.).
Obiettivo non facile ma crediamo centrato in pieno da questo bel
Lavorare con lentezza di
Guido Chiesa, regista e autore della sceneggiatura assieme al collettivo Wu
Ming, già abituati questi ultimi peraltro a scorribande nella storia più o
meno recente. Raccontare quegli anni liberandosi da facili schematismi e
stereotipi, facendo piazza pulita di ogni tentazione celebrativa e di ogni
prospettiva acritica che vuole il bene e il male, la libertà e il
conformismo dipinti a colori netti, privi di ogni possibile sfumatura,
quando invece, avvertono i Wu Ming " è tempo di dirlo forte, al di là di
ogni operazione di recupero: la mondezza di oggi era mondezza anche ieri".
E allora lo sguardo che ci accompagna in quel mondo, nel mondo del libero
"flusso creativo" - e per fortuna l'ironia non manca a ridimensionare
l'onnipresente tentazione dello snobismo intellettuale di sinistra - lo
sguardo dicevamo è quello dello Sgualo e del Pelo, due ventenni della
periferia sud di Bologna, immersi nella grigia quotidianità di un'esistenza
priva di slanci e prospettive diverse dall'arrivare a fine giornata con
qualche soldo in tasca. E proprio facendo uno dei tanti lavoretti che
vengono loro affidati da Marangon, un ricettatore locale - questa volta un
lavoro più "grosso" dei precedenti, lo scavo di un tunnel sotterraneo fino
al caveau
di una banca - i due ragazzi conoscono quell'unica stazione radio, Alice
naturalmente, le cui frequenze miracolosamente raggiungono il sottosuolo
dove i due consumano sigarette e fatica notte dopo notte. Ancora lo sguardo,
che diventa anche il nostro di spettatori, verso il mondo nuovo, fatto di
musica mai ascoltata,del gesto irriverente e dello sberleffo, di libertà di
linguaggio che diventa pornografia agli occhi dei benpensanti, di una
sessualità senza tabù (anche se la gelosia e l'ansia di possesso sono
eredità borghesi detestate ma in fondo difficili da abbandonare), è il naso
all'insù dei due che salgono le scale dello stabile di via del Pratello 41,
sede della radio, fino a raggiungere le poche stanze dove i ventenni del 77
sognano mangiano amano fumano gridano al mondo la loro esistenza, con
rudimentali apparecchi radio e con lo strumento più rivoluzionario che
conoscano per dar voce a chi non ha voce: un telefono. Lo spazio dell'etere
diventa lo spazio della politica intesa nell'accezione più nobile ed
etimologicamente corretta: lo spazio della partecipazione se, come ci
cantava Gaber, essa è la più imprescindibile delle libertà. E attorno a
quello spazio tante storie che si intrecciano, perché ciò che rende il film
di Chiesa un ottimo film è lo strappare di mano ai personaggi ogni
tentazione da primadonna e creare uno spazio che come quello della radio dà
voce a tante voci. "Traiettoria ad effetto.. nascondere gli obiettivi
dichiarati dell'operazione narrativa di un intreccio che sembra appena
sfiorarli, col risultato di evitare gli stereotipi, mettersi al riparo da
tentazioni catechistiche, proporre un punto di vista diverso e straniante
sull'intera vicenda" ci avvertono i Wu Ming. E allora non solo i ragazzi ma
anche i vecchi del bar di periferia con l'immancabile Resto del Carlino
sotto al naso; le forze dell'ordine tratteggiate nella loro rigidità o
nell'ottuso rispetto degli ordini impartiti del semplice appuntato Lionello
che ci strappa un sorriso (e che con in mano il microfono di Radio Alice
sotto sequestro finalmente prende la parola e chiude il film) ma anche nella
rivolta impotente e senza voce del tenente Lippolis che si troverà suo
malgrado ad avere "carta bianca" durante gli scontri alla Facoltà di
Anatomia, dove il racconto si frantuma nell'atroce realtà della morte di
Francesco Lorusso, con la Storia, quella con la S maiuscola, assieme
all'urlo e alle lacrime del Pelo.
Il film ci è
piaciuto - era il caso di sottolinearlo? Ottimo il cast, ottima la
recitazione dei due giovanissimi Tommaso Ramenghi e Marco Lusi che soltanto
nelle primissime scene del film scontano il sospetto di una recitazione un
po' dilettantesca, poi brillantemente risolta. Ottima la Pandolfi,
Mastrandrea e il suo sguardo malinconico prestato al tenente Lippolis,
ottimo Massimo Coppola che ha il vantaggio di recitare la parte di se
stesso, compreso nel suo ruolo di icona di cultura alternativa giovanile.
Precipitarsi a vederlo, con la sincera speranza che gli incassi al
botteghino diano al film tutto lo spazio che si è meritato. Ampiamente.
Voto:
30/30
01/10/2004 |