Girato tra Mesagne e Nardò, rispettivamente località del brindisino e del
leccese, La terra è l’ottava
prova dietro la macchina da presa di Sergio Rubini, in una filmografia
registica dove il cineasta pugliese ha spesso esaltato la stretta relazione
che vige, anche in chiave morale, tra i personaggi dei suoi film e le radici
diegetiche di questi ultimi. Ne La
terra tale discorso è fortemente arricchito ed inserito in coordinate
che strizzano l’occhio al genere, con tanto di punte di giallo nella seconda
parte del film – purtroppo la più scricchiolante, soprattutto in virtù di
una blanda conduzione delle dinamiche “giallistiche” – che si giustappongono
alla rappresentazione familiare in salsa noir, molto ben curata ed
introspettiva, che occupa la prima parte del film.
Luigi Di Santo (Fabrizio Bentivoglio), professore di filosofia a Milano,
torna al paese natale su invito di suo fratello Michele (Emilio Solfrizzi),
piccolo politico candidato alle imminenti elezioni provinciali, perché si
possa trovare un accordo sulla vendita di un appezzamento di terra di
proprietà della famiglia. La transazione purtroppo non è facilitata dalle
reticenze e dall’ostracismo del fratellastro Aldo (Massimo Venturiello), il
quale vive nel casolare della suddetta terra e dove, tra l’altro, porta
avanti una modesta attività agricola. A spingere fortemente Michele a voler
vendere il terreno è una situazione di fosco indebitamento dovuta a soldi
ricevuti ad interesse da Tonino (Sergio Rubini), strozzino e factotum dei
malaffari del paese. I dissapori dei componenti della famiglia Di Santo, tra
cui anche il giovane Mario (Paolo Briguglia), nei confronti di Tonino – lo
stesso Aldo, inoltre, è fortemente invaghito da Tania (Alisa Bystrova), una
delle ragazze di compagnia “protette” da Tonino – sembrano essere tutti
validi moventi per l’assassinio di quest’ultimo, freddato da colpo di fucile
durante la processione del Venerdì Santo.
La ricerca dell’omicida coinciderà d’ora in poi, estinti indugi e scrupoli
personali che hanno contraddistinto buona prima ora del film, con la ricerca
di Luigi tra le pieghe/piaghe della propria lacerata unità familiare. La
rimozione del dolore del ritorno viene superata alla luce della
consapevolezza dell’inutilità del fuggire – evenienza peraltro già
abbracciata nel passato. E così la scoperta che l’assassino è “in casa” fa
scattare la molla in Luigi, perché oltre ad offrirgli la possibilità di
salvaguardare l’onore della propria famiglia, gli permette di sanare le
inadempienze verso la stessa che aveva contratto abbandonando la terra
natia.
La potenza delle proprie radici e la machiavellica preservazione del
focolare domestico a tutti i costi sono gli elementi portanti della vicenda,
che avanza seguendo proprio gli umori di Luigi. Dapprima per deduzione e
analisi ed infine, rovesciando il metodo precedente, per appartenenza.
Luoghi sicuri e sani non esistono, tanto vale difendere quelli che abbiamo
(ritrovato). Una sorta di pessimismo costruttivo quello che mette in scena
Rubini, dove l’inevitabile torbido che scorre nel sangue di uno – sia che
fugga, che uccida, che nasconda la verità – diventa torbido sangue di tutti;
dove l’unico colpevole è colui che si esime dal fare ciò che potrebbe; dove
il sangue procurato all’altro è lodevole se ha evitato sangue nostro. Una
risposta da tener presente a chi vede nella famiglia meridionale il luogo
dei valori e dei principi morali alti.
Un giudizio positivo va al cast, specie maschile. Ottima la prova di
Bentivoglio e del sorprendente Briguglia, alle prese col caritatevole
personaggio di Mario, che affranto da una crisi esistenziale fugge gli oneri
della vita prestando assistenza agli handicappati. Così come adatti sono il
loschissimo Rubini e Solfrizzi che, sebbene possa apparire talvolta troppo
“maschera” (eccessiva mimica), è funzionale a infarcire di grottesco alcune
situazioni e a dare varietà al quadro familiare. Poco credibile Claudia
Gerini nel ruolo della moglie di Luigi, e Giovanna Di Rauso – e le sue
scampagnate amorose al mare – nel ruolo di Angela, la fidanzata fin troppo
trascurata di Mario. Alla già accennata evanescenza dei modi dell’intreccio
giallo, va sottolineata la ridondanza della musica di Pino Donaggio.
Voto: 24/30
16:03:2006 |