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4:44 LAST DAY ON EARTH di Abel Ferrara
con Willem Dafoe,
Shanyn Leigh |
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29/30
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Domani, alle 4:44, finisce il mondo, inghiottito da un'esplosione senza scampo possibile. Non cambia granché, per la coppia protagonista (un attore e una giovane pittrice). Il tempo, lo continuano a perdere come se niente fosse, consumato in occupazioni estemporanee e pressoché casuali. E fanno bene, sembra dirci Ferrara. Il quale, sostanzialmente, fa la stessa cosa che fa la sua protagonista. “Drippa” un po' di action painting su una tela bianca sul pavimento, fino a che non diventa assolutamente nera – ma non finisce qui: dopo il nero, compare ancora una forma riconoscibile. In altre parole: Ferrara, anziché costruire una storia, riempie il tempo che rimane prima delle fatidiche 4:44, più o meno con qualsiasi cosa capiti a tiro (immagine televisive, telefonate con Skype, scanzonate visite di addio agli amici, scenate di gelosia...), tutte accatastate confusamente. Tanto confusamente che sembra esserci solo un indistinguibile coltre nera. E invece no: arrivati alla fine, il film si riavvolge su se stesso lasciandoci intravedere che quel magma informe non è davvero informe: qualcosa, a proposito del tempo, l'abbiamo capita, l'abbiamo sentita, l'abbiamo assorbita. Non esiste “l'attimo”, bensì sempre almeno due, tre, quattro, mille attimi che entrano simultaneamente in reciproca risonanza gli uni con gli altri. Questa la forma che Ferrara lascia intravedere nelle pieghe del suo caos – la forma, anzi, del caos. Ed è per questo che, come spesso gli succede, anche qui Ferrara abusa di sovrimpressioni, dissolvenze incrociate, divagazioni gratuite (Defoe che si mette a ballare di punto in bianco da solo): anche quando sul momento presente ci si concentra frontalmente, come nella stupenda parentesi di sesso (tutta giocata sulla pelle, sulla mani, su un intreccio di superfici che si accavallano e si sovrappongono) che i protagonisti scelgono di scavarsi per sé a dispetto dell'incipiente fine, ebbene anche allora l'istante si scinde, si spacca, viene tramortito dal diversissimo istante successivo. Lo chiameremmo un flusso, se i materiali che lo compongono non fossero così ruvidamente eterogenei. Se flusso è, non è comunque fluido, è un ruscello in cui non scorre più acqua ma solo detriti, immagini lasciate a se stesse, in disordinato accumulo. Un vuoto riempito alla meglio, e senza nessuna foga, da quello che capita, in cui solo il desiderio e il piacere immediato (anche piccolo, come quello di una passeggiata notturna) fa da bussola (rigorosamente impazzita) nel bel mezzo del caos. Un altro modo per illustrare questa stessa cosa è l'appartamento in cui vive la coppia di protagonisti. È uno stanzone pieno di cose messe a caso, ma con un oggetto che domina lo spazio quasi con arroganza: uno schermo televisivo. Piazzato in mezzo all'appartamento, ne polarizza integralmente le vibrazioni su di sé. È lui, il centro focale dello stanzone. Un medium, come si suol dire, di flusso, fatto per far scorrere insieme qualsiasi immagine l'una dopo l'altra, per eterogenea che sia. Questo televisore in mezzo al nulla assomiglia molto al cinema di Ferrara: una specie di vuoto attraversato in qualche modo dalla stratificazione di immagini che poco hanno a che vedere le une con le altre, ma che appunto colpiscono per la continuità con cui vengono intessute insieme (le dissolvenze, le sovrimpressioni...). Non c'è solo junk, ma anche uno spazio che ne abbraccia insieme i pezzi. Skype, di cui il film abusa, è la forma minima di sovrapposizione in atto tra le immagini: quella di chi parla e quella di chi ascolta, lì nello stesso spazio virtuale. Ogni attimo sembra l'ultimo, perché è squisitamente discontinuo, avulso, celibe. Ogni attimo, insomma, sembra quello in cui, di punto in bianco, il vicino di casa del protagonista prende e salta giù dal balcone. Ogni attimo è uno spettacolo strapieno, sconosciuto, stratificato: siamo già angeli, dice la protagonista, perché ben prima che il tempo finisca, esso è già finito, e ci ha lasciato solo lo spettacolo costantemente imprevedibile delle sue rovine.
09:09:2011 |
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