KRUH IN MLEKO
di Jan Cvitovic

Un amico accasciato sui propri fallimenti, il senso della perdita iscritto negli occhi devastati dall’alcool e una busta della spesa con dentro pane e latte; questa è l’immagine che ha ispirato l’opera prima del regista sloveno Jan Cvitovic, la stessa immagine che il regista ci ricostruisce, seppur rielaborata con pittoresche soluzioni narrative, in questa deliziosa avventura che si compie al confine tra il paradiso e l’inferno, una storia che coagula nell’icona squisitamente domestica del pane e del latte il moto oscillatorio di un nido familiare tra il calore del focolare e gli abissi della dannazione, tra la tensione d’amore e il disgusto sconfortante della caduta. E’ la debolezza umana che incombe pesante su un’istanza comune ad ogni essere umano, la tensione lirica alla comunione, alla santificazione del vivere quotidano nella liturgia della complicità e dell’affetto consolidato dall’abitudine. Una pellicola interamente in bianco e nero (il colore non avrebbe aggiunto nulla al realismo tutto poetico della storia) per raccontare lo scivolamento verso la rovina di un padre alcolizzato, un figlio drogato ed una madre disperata che tentano di ricomporre, per l’ennesima volta, nella legittimità di una ennesima illusione, i cocci della loro unità malata. L’idillio familiare che si compone in tenerissime pennellate nelle fasi inziali si frange nel percorso di tre destini che corrono parallelamente nel peregrinare di una notte triste tra gli squallidi inferni sottocasa, percorsi che si risolvono in una convergenza finale mozzata e incompiuta: la madre delirante trascinata nel furgone degli sbirri, il figlio strafatto investito da un’auto, il padre ubriaco che si afflocia davanti alla porta di una casa vuota, un rivolo di latte che cola sui gradini delle scale. Il film si chiude con un una sequenza non prevista dal copione, un secondo, bellissimo finale in cui l’ubriaco ritrova intubati nei letti d’ospedale accanto a lui i suoi cari sventurati e li trascina a sé con la rozzezza impulsiva di un disperato, ne afferra le braccia con l’urgenza emotiva di uno spirito semplice, urlando il senso di una solidarietà cosmica tra vittime di un mondo difficile; gesto imponente sulle isteriche martellate di un sonoro aggressivo che il regista ha inserito perché creasse, nel contrasto col melodramma della scena, una nuova tipologia di esperienza emotiva, più corrosiva e sferzante, più incisiva e poetica.
Un film delizioso, inizialmente un cortometraggio a cui sono state inserite sequenze di girato per approfondifre la storia nei solchi del sentimento. Una sensibilità sottile nella direzione degli attori, assolutamente eccellenti, un tocco timido e discreto nel carezzare con la macchina da presa le ferite di personaggi tanto verosimile da sembrare i vicini di casa. Un film che conferma come la sezione veneziana dei NUOVI TERRITORI, i territori sicuramente più lontani dai mercati e dallo spettacolo, raccolgano la ricchezza sulla quale conta il futuro del cinema. Un film che costringe alla resa chi crede che siano necessarie trame cervellotiche o viruosismi linguistici perché il cinema riesca ancora a suscitare emozioni.

Voto: 29/30

Mirco GALIE'
02 - 09 - 01


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