
Il secondo lungometraggio di Chris Nahon, giovane ed eclettico regista
francese di spot pubblicitari e video clip musicali, tenta la strada del
film d'azione fallendo, però, sin dalle prime scene, il progetto
di un moderno western di arti marziali per l'incapacità di compensare,
col dinamismo forsennatamente inseguito da scelte di montaggio ardite,
trovate registiche visionarie e musica incombente, l'inconsistenza della
trama, i personaggi anonimi e le ambientazioni convenzionali. La vicenda
è quella classica degli action movie: l'eroe indomito e solitario
che, tradito nella sua missione di giustizia e legalità da una
cellula impazzita dei servizi francesi, si allea con la solita prostituta
dal cuore grande costretta al marciapiede dal ricatto di un agente corrotto.
KISS OF THE DRAGON è la nemesi del malvagio.. un punto di pressione
posto dietro la nuca che, colpito con precisione chirurgica dagli spilloni
che il protagonista porta con sé raccolti in un braccialetto dal
sapore etnico, conduce il cattivo a morte cruenta e dolorosissima, in
uno spunto chiaramente mutuato dai fumetti Manga. Con ogni probabilità,
il pubblico di Jet Li non si scandalizzerà del fatto che l'eroe,
da solo, sia in grado di sconfiggere a mani nude intere squadre di poliziotti
in coreografie di virtuosismi atletici volti a divertire più che
a dare credibilità al plot ma, per tutti gli altri, occorre evidenziare
che di interessante, in questo progetto, tolto il nome di Luc Besson tra
gli sceneggiatori e produttori, non rimane nulla. Proprio la presenza
di Besson ha fatto sì che, oltre agli amanti dei film di genere,
le sale siano state frequentate anche da qualche curioso cinefilo che,
ansioso di ripercorrere esuberanza, citazionismo e rivelazioni oniriche,
amati senza difese nelle opere pre-Hollywoodiane del regista francese,
è, invece, rimasto qui amaramente deluso nel trovarsi dinanzi un
ingranaggio pesante come un pachiderma in un negozio di cristalli ed a
personaggi spessi come panetti di burro sciolti. Jet Li, alla terza prova
in un progetto occidentale dopo ARMA LETALE 4 e ROMEO DEVE MORIRE, ambisce
alla crescita professionale co-producendo un film tratto da un proprio
soggetto, con il solo risultato di cadere nella trappola del sopore e
della caratterizzazione da fumetto che vede l'eroe letteralmente scoppiare
nella scena finale di strage e vendetta. Racconta la leggenda che Luc
Besson e Robert Mark Kamen, tornati a collaborare dopo la fatica del QUINTO
ELEMENTO, abbiano lavorato a questo progetto otto ore al giorno per settimane
intere, impegnati in un "turbinio di intensità lavorativa
e creatività".. Ci si domanda, allora come un tale consesso
di neuroni abbia potuto far pronunciare a Jet Li battute paradossali ed
involontariamente comiche cui risultava difficile non reagire dalle poltrone
con risposte sarcastiche e commenti impietosi. Come si fa a chiedere a
qualcuno riverso in un lago di sangue col corpo massacrato dalle coltellate:
"tutto bene?", e come si fa a ripeterlo ancora alla prostituta
Bridget Fonda, colpita al petto da una sventagliata di mitra? La fiera
del vaniloquio continua per tutto il film passando per banalità
strappalacrime del tipo: "scusa dello schiaffo" - "non
ti preoccupare, ci sono abituata", fino a culminare in uno dei botta
e risposta più tristi della storia del cinema "chi è
Babbo Natale?"- "il ciccione vestito di rosso!".. Verrebbe,
allora, la tentazione di cercare l'anima di Besson impegnandosi nella
rilettura critica di scene e dialoghi, rischiando, così, la delusione
di scoprire che questi potrebbero, a ben vedere, non significare nulla
di diverso da ciò che appaiono.. Domandarsi, ad esempio, se abbia
un senso l'ossessivo riferimento al cibo, continuamente citato e celebrato
nelle ambientazioni, nelle battute ed in quella sorta di ODORAMA naturale
che è la cucina cinese, tanto intensa nei profumi da diventare
visibile nella densità dei vapori. Non sembra un caso, infatti,
che Tchéky Karyo, il corrotto agente francese introdotto nella
vicenda dalla scena di violenza allucinante e quasi grottesca di un pestaggio
a morte tra le immacolate piastrelle della cucina di un albergo elogi,
poco dopo, i cinesi per la loro abilità nell'arrostire le carni
mentre tenta di cucinare flambè il poliziotto di Pekino; o che
Jet Li sia ospitato sotto copertura nel ristorante cinese di un quartiere
malfamato di Parigi che diventerà luogo di morte in un trionfo
di farine, zucchero e nuvole di gambero in frantumi, sollevati da una
pioggia di raffiche di mitra. Viene spontaneo, inoltre, chiedersi se i
riferimenti e paralleli alle precedenti pellicole di Besson siano solo
un'egocentrica auto celebrazione o l'ultimo tentativo di tappare gli evidenti
buchi della sceneggiatura cucendo alla rinfusa materiale di scarto riciclato.
Non sfuggirebbe alla logica della seconda chiave di lettura, ad esempio,
la scelta degli interpreti mutuati dal Nikita francese (Karyo) e dal suo
remake americano (Fonda), il calco quasi pedissequo di alcuni personaggi
(l'agente corrotto, la bambina da proteggere) e la ripetizione di scene
tutte già viste (le stragi al rallentatore, l'attacco al Palazzo).
Tchéky Karyo, ottimo caratterista amatissimo da Besson che già
aveva reso giustizia alla sua faccia di cuoio in Nikita, crudele ed al
tempo stesso romantica parabola di emarginazione e violenza, è
chiaramente costretto nello stereotipo del pazzo esaltato in un delirio
di egotismo e, impegnato a dare anima e corpo al personaggio dell'ispettore
che agisce, spudoratamente impunito, al di sopra della legge, non tenta
neppure di contenere un istrionismo che lo rende macchietta di se stesso.
Basta ripercorrere con la mente quel piccolo fiore sul cemento che è
LEON, per scoprire inquietanti somiglianze tra il personaggio lì
interpretato da uno strepitoso Gary Oldman in stato di grazia ed il presente
risibile tentativo di Tchéky Karyo e rimanere stupiti di come gli
eccessi di cinismo e perversione del primo film si stemperino nell'ampio
disegno di una trama in cui tutti gli elementi si incastrano alla perfezione
trovando l'uno giustificazione e presupposto imprescindibile nell'altro
in un nesso di consequenzialità diretta ed univoca tra antecedente
e suo logico sviluppo.. Anche la scena finale di KISS OF THE DRAGON ricalca
palesemente le gesta di Jean Reno che, in LEON, in bilico tra disperazione
e suicidio, va a salvare la sua piccola Matilda nel palazzo dell'anti-droga,
ma la farsesca esasperazione dell'impresa di Jet Li spoetizza del tutto
ogni significato e scoraggia dal travalicare, con l'analisi, il semplice
divertimento visivo. Solo un cenno merita Bridget Fonda, ormai relegata
a filmetti di serie B dopo il promettente esordio ne IL PICCOLO BUDDHA
di Bertolucci, che tenta oggi una monocroma imitazione di prostituta disperata
alla Elisabeth Shue di VIA DA LAS VEGAS per cui, alla fine, horribile
dictu, non resta che riconoscere che il più credibile tra tutti
gli interpreti è proprio Jet Li, granitico ed inespressivo come
una statua di sale, fiero di quella onestà intellettuale che non
può non essere apprezzata quando rimane fedele a se stesso ed al
target che gli ha dato il successo pur in un esperimento ibrido ed incompleto
come questo.
Voto: 15/30
|