
Nel 1963 John Cassavetes diresse un film, uscito in Italia col titolo
GLI ESCLUSI, decisamente innovativo, sia per il tema trattato (la rieducazione
di giovani handicappati) che per quel particolare modo di girare, che
avrebbe fatto del futuro autore di FACES e L'ASSASSINIO DI UN ALLIBRATORE
CINESE un maestro insuperato, specie nel suo lavoro con gli attori. Già
con UNA DONNA MOLTO SPECIALE - il suo primo lavoro - il Nick Cassavetes,
il figlio di John, dimostrò la volontà di mettersi sulla
strada paterna affrontando tematiche legate ai rapporti interfamiliari
e, in modo particolare, quelli tra genitori e figli. SHE'S SO LOVELY,
il film successivo, ha confermato questo proposito, divenuto ormai palese
con questo JOHN Q.
Partendo come un racconto di contestazione della situazione sanitaria
made in USA, il film si concentra su ciò che un padre può
giungere a fare pur di salvare il figlio, non solo dalla grave malformazione
cardiaca che gli viene diagnosticata, ma anche da tutta una serie di meccanismi
e speculazioni, al cui cospetto il conto in banca è il primo certificato
da esibire. Tema forte, senza dubbio, con il rischio però - come
spesso accade - che proprio il vigore della componente umanitaria invada
lo schermo, sopprimendo le indispensabili componenti di ritmo e stile.
JOHN Q. è un film veloce, privo di pause, ottimamente recitato
da Denzel Washington, ma non è molto di più. Come dicevamo
in apertura, se la forza di John Cassavetes era proprio nella capacità
di unire alla rivoluzione del soggetto quella della regia (il suo continuo
uso dei primi piani, l'improvvisazione estrema, l'amore per il piano sequenza
al servizio della recitazione), qui la mancanza di personalità
dietro la macchina da presa è lampante. E non intendiamo affermare
che il giovane Cassavetes non sappia fare il proprio mestiere, ma è
proprio di questo che si tratta: un mestiere e non di più. Avremmo
potuto anche rinunciare al confronto - piuttosto banale e ingeneroso -
tra lavoro di Nick e quello di John, ma l'evidente (e non casuale) coincidenza
dei temi, la volontà di fare proprie, in qualche modo, le idee
del padre (SHE'S SO LOVELY nasceva da una sceneggiatura di Cassavetes
sr.) e l'evidente piattezza del film, specie nella sua seconda parte,
spingono in questa direzione. Che dire altrimenti di un lungometraggio
che chiunque potrebbe immaginare prima di entrare in sala, tanti sono
gli stereotipi rivitalizzanti provenienti dal filone tipo UN GIORNO DI
ORDINARIA FOLLIA? A differenza del padre, Nick non ha uno stile proprio
e - fatta salva la possibilità (da non escludere mai) di forti
pressioni esterne - si accontenta di una messa in scena rigorosa ma fredda,
accettando soluzioni narrative piuttosto forzate (si veda la prima sequenza
e il suo valore all'interno del racconto) e troppi elementi privi di misura
(la felicità "morettiana" della famiglia prima della
tragedia, il concatenarsi delle avversità e il reciproco verificarsi
di fortunate coincidenze nonché qualche "buon consiglio"
di vita). Il tutto, ancora una volta, in nome della "bontà"
e della correttezza di un tema, affrontato per giunta - nell'anno di Halle
Berry e dello stesso Washington - attraverso la vicenda di un uomo di
colore.
Voto: 24/30
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